La progressiva miniaturizzazione dei dispositivi elettronici richiede la creazione di circuiti sempre più piccoli. Con la tecnologia tradizionale questa miniaturizzazione è però ostacolata dai limiti imposti dalla fisica, ma c’è chi pensa di usare le molecole come dei circuiti. Per far sì che queste siano efficienti in questo compito è necessario migliorare le loro scarse capacità conduttive. In uno studio pubblicato su PNAS un team di ricercatori, fra i quali Ryan Requist, Erio Tosatti e Michele Fabrizio della SISSA, mostra come l’effetto Kondo può aumentare la conduttività di alcune molecole magnetiche.
L’elettronica basata sul silicio ha i suoi limiti, nel senso fisico del termine: i circuiti di questo tipo non potranno mai diventare “nano”, a causa delle leggi fisiche che governano il flusso degli elettroni. Questo impone uno stop alla miniaturizzazione dei dispositivi elettronici. Una delle possibili soluzioni è utilizzare le molecole come circuiti, ma le loro scarse capacità conduttive le rendono dei candidati poco appetibili. Esiste però una possibile soluzione, studiata in un recente paper pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), da un team di ricerca internazionale che vede partecipare Ryan Requist, Erio Tosatti e Michele Fabrizio della Scuola Internazionale Superiore di studi Avanzati (SISSA) di Trieste.
L’effetto Kondo, descritto la prima volta dal fisico giapponese Jun Kondo nel secolo scorso, si osserva quando a un metallo come l’oro o il rame si aggiungono impurezze magnetiche, cioè pochissimi atomi (anche solo 1 su 1000) di materiale magnetico, come il ferro. Anche molecole come l’ossido di azoto si comportano come impurezze magnetiche; quando si trovano fra elettrodi metallici possono fare effetto Kondo.