Venerdì scorso al teatro Gozzi di Pasiano rivelazioni sullo show business, sulle più note star americane, su registi del calibro di Tarantino, sulla vita privata dell’attore parmense e su un suo lavoro qui in provincia, nel 1986, per girare il film Un altare per la madre, tratto dall’omonimo libro Premio Strega di Ferdinando Camon
Si è concesso generosamente all’intervista di Orazio Cantiello l’attore Franco Nero, ospite – venerdì scorso al teatro Gozzi di Pasiano – della sesta edizione di Pordenone Pensa.
Scarpe da ginnastica e una treccina ben visibile che gli servirà per il prossimo film, l’artista ha onorato il suo impegno nonostante la febbre, offrendo al pubblico una serata memorabile. Una lunga chiacchierata, nella quale il divo di origini parmensi ha parlato della sua predilezione per il cinema internazionale, dei personaggi, dello star system, della vita privata e degli esordi quando, a 7 anni, recitava in tutte le commediole che organizzava la sua scuola.
Nero deve tutto – ha detto – a John Huston e alla fortuna: “Non basta essere un bravo attore per avere successo. Devi essere al posto giusto nel momento giusto. Alcuni miei scatti, infatti, finirono sulla scrivania di Huston, che mi scelse per fare Abele nel kolossal La Bibbia. Ma a lui devo tutto perché, oltre a farmi lavorare, mi raccomandò per molte parti e mi insegnò l’inglese. Mi regalò infatti i dischi di Shakespeare in lingua e io li imparai a memoria. E questo mi fu utile perché quando Joshua Logan, che cercava gente nuova per Camelot, mi disse che avevo il fisico giusto per interpretare Lancillotto ma che non voleva rischiare un film così costoso con me che non sapevo l’inglese, io gli recitai Shakespeare. Andai avanti mezz’ora, senza prendere fiato, e lui mi prese”.
Il lancio glielo dette, dunque, il cinema americano. Poi Nero continuò per la sua strada, costellata di oltre 200 interpretazioni dirette dai più grandi registi internazionali, a partire dal tedesco Rainer Werner Fassbinder fino allo spagnolo Luis Bunuel, uno dei suoi prediletti, del quale rivela un simpatico aneddoto: “Eravamo nel piazzale di Toledo. Bunuel cercava spasmodicamente la sua maleta (la borsa). Pensavamo contenesse qualcosa di importante, il copione magari. Poi la trovò e si sedette su una panchina. Io arrivai da lui di soppiatto e lo vidi tirare fuori dalla maleta un panino al prosciutto e una Coca Cola. “Per favore, non lo dire a nessuno – mi chiese – ho fame. So che hanno fame anche gli altri, ma loro devono lavorare…”.
La strada per il successo di Nero si è incrociata con quella di molti grandi attori: Henry Fonda, Burt Lancaster, Antony Quinn, Bruce Willis, Harrison Ford, Laurence Olivier e Vanessa Redgrave, sua moglie, la più grande attrice del mondo, come sottolinea. Con uno sguardo ai propri idoli, Marlon Brando e Paul Newman, che ad un grande party americano gli chiese un autografo per la figlia.
Negli ultimi 20 anni, per scelta, Nero ha lavorato praticamente solo all’estero. “Ma nessuno lo sa – sottolinea – l’Italia non compra quei film. O lavori in America, che ha le sue grandi distribuzioni, oppure deve essere una pellicola che ha vinto qualche festival, e allora arriva in Italia. E piuttosto che fare una fiction, faccio altro. Per questo ho aiutato una 15ina di giovani registi a debuttare”. E ha rivelato il “marcio” dell’azienda italiana televisiva e cinematografica italiana: “La leggenda di Rodolfo Valentino, ad esempio, è stato distribuito in 159 paesi, Italia esclusa. La XXth Century Fox me lo regalò, perché lo distribuissi in Italia. Così feci il più grande errore della mia vita: chiamai la Rai e dissi che glielo volevo dare gratis. Mi dissero picche, evidentemente non potevano ricavarci nulla”.
E della politica cosa pensa? “E’ tutto uno schifo – ha esordito senza mezzi termini – i politici italiani mi hanno solo usato. Per questo ho sempre rifiutato di fare il politico a mia volta”.
A tenere alta l’attenzione c’è poi stata una parentesi dedicata a Quentin Tarantino, che nel 2012 ha omaggiato Nero con Django Unchained. “Prima di conoscerlo, in molte interviste diceva che io sono il suo mito – ha raccontato – quando ci siamo incontrati, in occasione della sua promozione di Bastardi senza gloria, mi ha raccontato che, da 14enne, lavorava in un video shop ed è lì che si è visto tutti i miei film. Una cosa tira l’altra, così feci un cameo nel suo Django Unchained. È stato bello lavorare con lui, perchè Tarantino ha l’animo di un bambino. Sul set girava una scena e al termine, entusiasta, diceva: “great!”. Poi però voleva rifarla”.
Nero ha svelato un episodio che può essere considerato un risarcimento morale per l’indifferenza dell’Italia al suo lavoro: “alla presentazione italiana di Django Unchained Tarantino chiamò tutti gli attori sul palco. Quando venne il mio momento disse: “Questo è il mio idolo” e chiese di alzarsi ad applaudire. Che soddisfazione vedere in piedi tutti quei tromboni di Roma…”.
E dire che Nero può vantare 3 miliardi di fan in tutto il mondo e di aver lavorato con oltre 30 cinematografie mondiali.
Ma, in fin dei conti, si ritiene un uomo all’antica, perché per lui contano i principi e la famiglia, che ogni agosto si riunisce nella sua casa fuori Roma per passare giornate all’insegna del gioco e del buonumore, o magari a guardare (per la 37esima volta) West Side Story oppure la scena del balletto nel deserto di Jesus Christ Superstar, due dei suoi film preferiti.
Ma la vera rivelazione, conseguenza di una domanda del pubblico, è stata la sua presenza, nel 1986, proprio qui in provincia, tra Pordenone, Cordenons e Aviano. “In quel periodo giravamo Un altare per la madre, tratto dall’omonimo libro Premio Strega di Ferdinando Camon. Ho passato 3 bei mesi, con persone semplici, belle, calorose, solari. Peccato poi che quel film non si sia mai visto, del resto è un film letterario…”.
Nel frattempo Nero ha in ballo parecchi lavori, tra i quali Road to Capri, The time of Our Life e il western L’angelo, il brutto, il saggio.