Santa Caterina della Ricostruzione. No, non dovete aggiornare il calendario ma, per incontrarla, potete semplicemente fare un giro nella cittadina – simbolo della ricostruzione post Orcolàt in Friuli: Venzone. La bellezza degli edifici del centro, del Duomo, delle mura è, senz’altro, nota a tutti; varrà, allora, la pena allungare un po’ il passo e concedersi una passeggiata dietro l’abitato. Si imbocca un bel sentierino in dolce e leggera salita che, dopo aver attraversato un prato e un paio di case, si addentra in un bosco di latifoglie. Sovente si scorgono muretti a secco e pietrame allineato da mani antiche che ora riposano: tracce che raccontano di esistenze che si sostenevano anche grazie a piccoli lembi di terra coltivati con attenzione e speranza. Anche qui, ora, Madre Natura si riprende il suo spazio, ripopolando di alberi, arbusti e scompigliati barracani quanto, per secoli, era sfalciato, coltivato e abitato da chi alla natura chiedeva nutrimento e clemenza in cambio di dedizione e fatica.
Da brava turista della domenica, prendo appunti mentali su quanto vedo, come se si trattasse di una realtà oramai lontana, separata nettamente dalla attuale. L’ultima generazione di quegli uomini della terra si sta a poco a poco assottigliando e sempre più flebili sono le voci degli ultimi rimasti a raccontare. Senza contare che molti preferiscono tenere certi ricordi di sudore e sacrificio nel cassetto e godersi l’oggi, con le case riscaldate, le dispense piene, l’ospedale per il quale “non serve vendere il vitello se, par un mâl di gnot, ci devi andare”.
La sensazione di cesura col mondo contadino di una volta, a pensarci bene, ultimamente non è più così netta nelle nostre menti: sarà la difficile congiuntura economica, saranno gli allarmistici e continui messaggi dei media e un modus vivendi all’insegna dell’incertezza ma…vien proprio da chiedersi se il nostro “beato” mondo occidentale conoscerà un ripiegamento, un ritorno a quella terra dura che nutriva i vecjos ma che noi siamo parecchio impreparati a gestire…
Ricaccio nel sacco nero dello sterile disfattismo questo ultimo pensiero (anche per i pensieri tocca fare la differenziata) e mi dico che, data la bella giornata dal cielo sempre più blu, è il caso di star coi piedi per terra nel qui – e – ora e vivere pienamente l’incontro (si fa per dire) con la Santa.
Cammina, cammina, infatti, il nostro allegro gruppo di escursionisti esce dalla pancia del bosco e si ritrova, in modo quasi inaspettato, in una radiosa e verdeggiante radura. Un bel respiro di meraviglia e soddisfazione ci ossigena il sangue e rinforza l’umore già reso positivo dall’energia che nasce dal gruppo.
Arriviamo alla quattrocentesca chiesetta dedicata a Santa Caterina e ricordiamo alcune storie che la riguardano. Azzerata dal sisma, ricostruita con amore e tenacia da volontari, ora usata in occasioni di festa e di inno alla Vita. Sbirciando attraverso le finestrelle, si scorge, infatti, traccia inequivocabile di matrimoni lì celebrati: qualche segno di addobbo, le sedie dei testimoni posizionate accanto al banchetto centrale degli sposi e, tra le fughe del pavimento, forse ancora qualche chicco di riso e di evviva.
Intorno, alcune lapidi incastonate nel muretto di recinzione raccontano del nefasto passaggio di epidemie ottocentesche o ringraziano chi tanto si prodigo’ per far riemergere dalla polvere architetture murarie e il senso di comunità.
Davanti alla deliziosa e curata struttura si stende un soffice tappeto verde e, più in là, un tavolo e delle panche per la sosta. Siamo adagiati su un dolce pendio, quindi da lì è possibile vedere Venzone dall’alto e spingere lo sguardo anche più in là. Un tributo d’attenzione, però, lo meritano due monti che ci si parano davanti: il San Simeone e il Plauris.
Le nostre tre brave Guide (grazie sentite a Coop. Farfalle nella Testa, Ente Parco Prealpi Giulie, Staff Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale), durante il cammino e in occasione della sosta presso la chiesetta, arricchiscono il nostro vedere con significative informazioni su flora, fauna, storia economica e sociale del luogo. Per di più, hanno in dotazione un cannocchiale, nella speranza di scorgere sui rilievi qualche grosso mammifero erbivoro. Siamo fortunati: per pochi minuti forse un paio di codine biancastre e la sagoma di stambecchi o giù di lì fanno la loro brava comparsata, a ribadire che la montagna pullula di vita. Questo è quanto odo ma non adocchio direttamente poiché, mentre molti fanno la fila per individuare quegli affascinanti animali, io mi trovo in una sorta di pacifica contemplazione, imbambolata a cercar di fissare bene nella mente i limpidi panorami che ho davanti e che mi faranno da tiramisù in giornate più grigie e piovose (siamo in Friuli, è lecito aspettarsele in abbondanza!).
Cara Santa Caterina, ti ho trovata in splendida forma, biela e lusinta più che mai!