Zoo safari in terra furlana, dite?! Per stavolta ve lo risparmio, invitandovi comunque ad una esplorazione su due pedule motrici, con minima pendenza e zero emissioni. Le emozioni non mancheranno, specie in periodi dell’anno come questo, così generoso dei colori caldi e intensi che solo l’autunno sa dare. Intensa pioggia permettendo, s’intende.
Il punto di partenza è il Villaggio dell’Orso. Per trovarlo – il Villaggio e, forse, anche l’Orso – bisogna andare a Stupizza, nel Comune di Pulfero, ovverosia in uno dei cuori delle Valli del Natisone. Siamo a una manciata di minuti di auto dal confine con la Slovenia, dove la memoria automaticamente ancora fa risuonare nelle orecchie i “Dichiara?” delle guardie jugoslave all’andata, e l’ analogo interrogativo delle nostre al rientro in Italia.
Benzina, un po’ di carne, due pacchetti di sigarette.
Roba ormai degna solo dei libri di storia e di chi comincia ad avere qualche …decade (cualchi carnevâl, si diceva una volta) di vita vissuta a far zavorra sulle spalle! Se ci penso – da abitante immersa in un villaggio globale spinto agli estremi e sull’orlo della implosione – mi sembra davvero di parlare di un altro mondo. Già, un altro mondo. Forse non sono tanto lontana dalla verità, eppure non posso non rilevare che ogni epoca ha le sue paure: quelle di quel mondo di allora avevano dei nomi, quelle di oggi ne hanno altri. In comune c’è sempre la inguaribile difficoltà delle varie società e comunità politiche di stare insieme secondo una formula armoniosa e pacifica di convivenza. Ad ogni modo, a dar ennesima conferma del superamento per lo meno dei timori più vecchi, il viandante che si inoltrerà per i sentieri delle Valli troverà sicuramente parecchie iscrizioni e cartelli segnavia che sveleranno in quanto tempo è possibile l’incontro con l’Altro, quanto dista casa propria e quanto quella del Vicino.
Italia e Slovenia ora si parlano, elaborano insieme progetti transfrontalieri, si incontrano sulla riva del fiume Natisone a celebrarne la bellezza o a prendere il sole. Con buona pace di chi il confine lo ha conservato nei propri ricordi e di chi ancora lo attraversa con quel filino di inconsapevole circospezione, rallentando la velocità appena l’auto attraversa la zona antistante le caserme.
Oltre ogni vicenda umana – è proprio il caso di dirlo – scorre il fiume. Passa il Natisone e continuerà a farlo, impassibile rispetto alle ballerine vicende umane. Fiume dal gran carattere, per giunta: da giovane è vivace e dinamico, poi si fa adulto potente e imperioso, infine saggiamente allarga le proprie braccia per unire le proprie acque e il frutto del cammino fatto alle sorti di uno più grande di lui, uno che tutto sa e tutto vede.
Val la pena incontrare e conoscere il Natisone nelle sue Valli, oltre Cividale del Friuli, dove notoriamente si palesa come una vera primadonna. Vale ancor più la pena dargli appuntamento proprio a Stupizza, proprio nei pressi di quel Villaggio dell’Orso che altro non è se non un bel rustico ristrutturato e destinato a centro di studio e divulgazione di informazioni e cultura naturalistico – ambientale. Qui ci si occupa, come il nome dice, in particolare del grande mammifero che, oramai da qualche anno, sta tenendo viva l’attenzione di studiosi e allevatori, date le sue relativamente frequenti incursioni in zona. L’orso, infatti, non tiene certo in gran considerazione i confini di stato e, dati il suo carattere notoriamente “riservato” e la folla di suoi simili nelle terre slovene, pensa bene di far puntatine anche in Italia, per vedere se da noi si mangia bene come dicono.
Per avere notizie di Bepi o di Alessandro, chiedete pure alle preparate guide che troverete ad accogliervi presso la struttura di Stupizza durante i periodi di apertura della stessa; se, poi, avete dei bimbi come compagni di viaggio, li entusiasmerete facendo vedere loro gli allestimenti nelle stanze del piano terra, con la ricostruzione di una tana di orso, o con le proiezioni nella sala sotto tetto al primo piano, dove si possono vedere riprese notturne o l’illustrazione delle procedure per monitorare gli animali tramite radiocollari.
Sì, ok, interessante ma… quando si parte? Avete ragione, è ora di imboccare il sentiero. Scegliamo quello che porta verso il Monte Mia e le strutture dell’Acquedotto Poiana, da cui dipendono i rubinetti di un’ampia fascia di territorio dell’hinterland cividalese.
Svelato il rimando dei nomi del titolo e tranquillizzati coloro che temevano ardite imprese a contatto con belve feroci, procediamo lungo la riva destra del Natisone, risalendolo controcorrente. L’auto l’abbiamo lasciata a poche centinaia di metri dalla radura della Casa dell’Orso, in un gran cortile che funge da vero e proprio parcheggio per turisti a corto circuito quali noi (orgogliosamente) siamo. Per imboccare il sentiero dobbiamo attraversare un gran bel ponte sul Nediza, come lo chiamano da queste parti. Tutti indugiano, qui; lo farete anche voi. Il luogo ha un che di magico, vuoi per l’odore di acqua dolce, vuoi per il riverbero che può regalare una fortunata giornata di sole. Un sottile incantesimo fa arrestare il passo e, per un attimo, immobilizza l’avventore; solo una folata più intensa fa riacquisire padronanza piena di sè e rimette in moto le gambe. Si va, allora, attratti dalla prospettiva di vedere dove si annidi l’acquedotto, per dar finalmente corpo e penne a quel nome così severo, fino ad ora conosciuto solo attraverso prosaiche e imperturbabili …bollette da pagare.
Si cammina e non si smette mai di fiancheggiare il Nadisòn. Si attraversano boschi, si sente il profumo del ciclamino, si scavalcano tronchi giganteschi schiantati al suolo dal peso degli anni e di inclementi intemperie; costante è lo sciabordìo dell’acqua a cadenzare il passo. L’occhio cade affascinato sul cartello che indica le rovine di Predrobac, antico villaggio ora ridotto ad ombre di case senza tetto e con poco muro in sasso mangiato dalla vegetazione. Il piede, però, non si lascia sviare e va dritto per la sua strada: per oggi, nessuna deviazione. Un po’ si sale, a tratti si scende; in un punto troviamo una fonte naturale piuttosto nota in zona, poco oltre ci imbattiamo in una trappola di cibo sistemata dagli studiosi al fine di raccogliere tracce di orsi di passaggio per uno spuntino. Qualcuno segnala delle unghiate su una corteccia ma trasformiamo la suggestione in un momento folk, condito da battutine, tanto per sdrammatizzare. A tutti noi è, comunque, ben chiaro che la probabilità di un incontro peloso ravvicinato del terzo tipo con lo Yoghi delle Valli è alquanto remota, in quelle condizioni e in quel momento della giornata.
Camminiamo ancora e, di punto in bianco, il sentierino nel bosco diventa stradina sopraelevata che fiancheggia prati stabili – scrigno di biodiversità – e che si presenta particolarmente curata: a destra e a sinistra è abbellita, nella sua lunghezza, da due lunghe schiere di giovani latifoglie e arbusti che creano un suggestivo tunnel vegetale, rado abbastanza da far entrare i raggi di un dolce sole autunnale.
A questo punto le aspettative crescono: come sarà il nido della Poiana?