La tentazione di fare almeno un cenno a uno dei (letteralmente) grandi classici dei presepi della Furlanìa, là dove la collina fa già sentire la sua morbidezza, è Ara. Anzi, Ara Grande, frazione di Tricesimo, come giustamente precisa la guida “Giro Presepi FVG”, di cui alla puntata scorsa.
Son certa che in moltissimi lo conosceranno, magari lo visiteranno ogni anno, come per una specie di appuntamento fisso o di piccola tradizione familiare.
Un allestimento del genere non può passare inosservato: le dimensioni son tali da fargli attualmente occupare un’intera via, per una superficie di circa 2500 mq, tanto che, in Italia, è di sicuro, fra i più estesi.
Anche la quantità di tempo necessaria per la sua realizzazione è di tutto rispetto: parroco e volontari impiegano le loro ore libere per mesi e mesi a progettare, creare, cercare, costruire. Eh, sì, perché ogni edizione è “riveduta e accresciuta”, al pari degli aggirnamenti delle collane dell’Enciclopedia ancor stampate su carta! Anno dopo anno, il presepe si arricchisce di nuovi personaggi, nuovi edifici – magari di alto valore simbolico – ambienti aggiuntivi rispetto a quanto già proposto. Il tutto con un occhio al nostro tempo, tormentato dall’incapacità dell’Uomo di convivere con l’Uomo.
Al pari della stragrande maggioranza dei presepi, quello di Ara non è uno sterile assemblaggio di statue e palme di plastica, ma è ragionato e foriero di un messaggio particolare che si accompagna a quello universalmente valido per tutti i presepi del mondo: questo messaggio lo si legge nell’operare stesso di chi lo ha composto. Più persone hanno dovuto collaborare, confrontarsi, scendere a patti e trovare soluzioni comuni per giungere a un risultato. Il tutto senza nemmeno l’attrattiva di una remunerazione economica finale. A qual pro? Portare avanti una tradizione, onorare una festa? Certo, ma c’è dell’altro. La vera ricompensa che ripagherà abbondantemente ogni fatica: sapere che si sta facendo qualcosa che richiama le forze della comunità a ritrovarsi e ad unirsi, ripopolare le vie e rivitalizzare un paese che vuol resistere al destino di diventare l’ennesimo dormitorio “mordi e fuggi”; infine – e qui sta il bello – sapere che il risultato finale sarà un polo d’attrazione che richiamerà altre persone che verranno da fuori ad ammirare, rallegrarsi, gioire in qualche misura del prodotto di tanti sforzi!
Si creerà interesse e richiamo e chi “compirà il viaggio” avrà, poi, appagamento dall’averlo fatto e tornerà a casa con il cuore un po’ più caldo, al di là di quanta e quale fede abbia.
Se non altro, si porterà a casa lo sforzo gratuito fatto da altri uomini anche per lui. Vi ricorda qualcosa? Se non è Buona Novella questa…
Viviamo in tempi miopi, segnati da egoismo e utilitarismo (insiti nell’Uomo, rassegniamoci, quindi accettiamo con la più larga consapevolezza possibile che non saranno mai completamente eliminabili) ma gli scossoni drammatici dati a questo nostro sistema economico e culturale ci stanno insegnando con durezza che è urgente, arrivati a questo punto della Storia, iniziare a smussare almeno i picchi di tali difetti. Vorremmo fossero le Grandi Bocche a farlo, per prime, tanto per non obbedire all’iniqua consuetudine di andare a tormentare chi di noi avrebbe, invece, bisogno di essere sostenuto e protetto e non ulteriormente depauperato e spremuto.
Ma ritorniamo ad Ara. Chi vuole indossare i panni (copritevi: è all’aperto!) del visitatore deve parcheggiare l’auto in uno dei comodi spiazzi limitrofi e, semplicemente, camminare lungo Via Fella. Alla sua destra troverà l’affascinante allestimento, diviso in settori tematici, consistente in ambienti costruiti su più livelli, con relativi personaggi che li popolano. Le statue hanno varie grandezze, da quelle a dimensione naturale e costituite da manichini agghindati con vestiti confezionati appositamente, a sagomine più piccole in vari materiali, alcune in movimento perché sistemate su appositi binarietti o dotate di specifici automatismi.
Tra le costruzioni, ritroviamo quelle tratte dai racconti dei Vangeli ma anche alcuni dei nostri edifici sacri più significativi. Comprese le nostre pievi della Carnia, di cui avremo modo di parlare nelle puntate future.
Il resto è lasciato alla sorpresa di chi vi andrà, ormai per Natale 2015, in visita (l’allestimento quest’anno è rimasto visibile, infatti, fino al 18 gennaio scorso) e ai bei ricordi di chi, nelle settimane passate, ha avuto modo di fâ un salt.
Una chicca etnografica, però, ve la riporto con piacere: a circa metà percorso, in una sorta di androne, per quest’ultima edizione avreste trovato il cjantonut furlan, in cui era stato messo in scena un fogolar sempre acceso, con tanto di cjaldir per la immancabile polenta e un furtaciut c’al tigniva a mens che la pietanza non s’attaccasse. In parte, una signora sedeva dietro ad una vecchia Singer a pedali e cuciva, cuciva all’infinito…ogni tanto, un meccanismo le faceva voltare il capo verso un altro suo canài che, si può immaginare, le stesse chiedendo qualcosa. Altri due bambini erano posti a poca distanza, uno attrezzato con la cossa sulla schiena, …al pari dei nostri, con i loro zainetti in materiale tecnico! I personaggi erano in abiti tradizionali, specie la donna, e attiravano decisamente l’attenzione dei visitatori, specie di quelli alloctoni.
Ovvio dirlo, il clou del presepe di Ara è la scena della Natività, con bellissime statue grandi in legno scolpito di color naturale. Sarà la dolcezza dei materiali, la morbidezza delle luci e le musiche in sottofondo, fatto sta che, quando ci si avvicina alla capanna – lo si puo’ fare al punto tale da entrarvi, quasi, dentro – ci si sente forse in dovere di sta’ cidins e cjalâ, senza disturbare, come se uno scricchiolio di troppo svegliasse il Pargolo o facesse indispettire il buon Giuseppe!
L’esperienza multisensoriale trova giusto completamento in un chiaro segnale raccolto dalle nostre narici e proveniente dalla stalla attigua alla capanna: pecore, capre e agnellini veri in lana e ossa attendono il loro momento di celebrità e gli occhi innamorati di bambini che neppur sapevano – prima di questo momento – che (un tempo?!?) le loro belle maglie venivano fatte con quel ricciuto e giallastro vello tosato dalle buffe belatrici e non con le bottiglie di plastica sciolte!!!
Doveroso aggiungere, concludendo, un’ informazione. Il presepe monumentale all’aperto di Ara sorge, ogni anno, sempre nello stesso posto: l’area dove aveva trovato spazio la baraccopoli allestita dopo il nefasto terremoto del’76.
Da allora ad oggi: le baracche, per fortuna, no ci sono più; il presepe rimane.
Ad memoriam.