La nuova release di dati – appena pubblicata su Astronomy and Astrophysics – del consorzio di Planck, il satellite ESA, svela una sorpresa: il processo di formazione delle stelle nell’Universo potrebbe essere più recente rispetto a quanto indicato precedentemente nell’analisi del satellite della NASA WMAP, predecessore di Planck. L’osservazione è stata possibile grazie alla nuove mappe dello strumento a bassa frequenza a bordo di Planck (LFI), che sono state prodotte dal Data Processing Centre di Trieste gestito da INAF-OATS in collaborazione con la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) e il Consorzio LFI.
L’attesissimo aggiornamento dell’analisi dei dati raccolti dal satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea inizia con una prima pubblicazione sulla rivista Astronomy and Astrophysics che riserva già qualche sorpresa “succosa”. Il primo articolo infatti “ringiovanisce “ le stelle del nostro Universo. Grazie alle nuove mappe della radiazione di fondo (in particolare quelle contenenti le “anisotropie da polarizzazione” della radiazione) gli scienziati hanno osservato che il processo di “reionizzazione” potrebbe essere più recente di quanto stimato finora.
La reionizzazione è uno dei processi più importanti in cosmologia perché associato alla formazione delle stelle, che i cosmologi sanno essere avvenuta dopo le “età oscure” dell’Universo, quando questo era privo appunto di luce stellare. Il satellite NASA WMAP, lanciato nel 2001, aveva fornito una prima stima del periodo in cui il processo poteva aver avuto luogo.
La scoperta, che deve ancora attendere una conferma nelle misure che Planck è ancora in grado di fornire e che saranno pubblicate fra circa un anno, è associata alla pubblicazione delle mappe di radiazione cosmica di fondo (la prima luce nell’Universo prodotta dal Big Bang) “polarizzata”. WMAP è stato il primo satellite a tentare di fornire questa mappa ma oggi grazie ai nuovi dati di Planck, si ha un’indicazione che la reionizzazione potrebbe essere avvenuta circa 550 milioni di anni dopo il Big Bang, vale dire 100 milioni di anni dopo quanto stimato da WMAP.
“Secondo quanto osservato da Planck le stelle potrebbero essere più giovani del previsto, in accordo con altri indipendenti indicatori astrofisici, e le conseguenze di questa evidenza potrebbero essere importanti nel tentativo di comprendere le componenti oscure dell’Universo”, spiega Carlo Baccigalupi, cosmologo della SISSA che coordina il gruppo della SISSA coinvolto nell’esperimento Planck. “Il contributo del team triestino impegnato nella produzione di mappe per lo strumento LFI a bordo di Planck, che vede collaborare la SISSA con INAF –OATS, con il coordinamento di Andrea Zacchei, è stato quello di produrre le nuove mappe di luce polarizzata viste da LFI che coprono l’intera volta celeste. Ora aspettiamo i dati dello strumento ad alta frequenza, HFI (le cui mappe sono leaborate dal team francese) che dovrebbero offrirci una conferma e un quadro più preciso dell’evidenza che è stata rilevata”.
Più in dettaglio…
Planck è un satellite dell’Agenzia Spaziale Europea, progettato per osservare il Big Bang attraverso la radiazione di fondo cosmica con accuratezza senza precedenti. Proposto nella prima metà degli anni ‘90, il satellite e gli strumenti che porta a bordo sono stati realizzati grazie a un titanico sforzo che ha coinvolto varie agenzie spaziali europee coordinate da ESA, mentre la NASA ha realizzato il sistema di raffreddamento.
L’analisi dati a terra è stata condotta in solo due centri al mondo, Parigi e Trieste. Trieste in particolare, con SISSA, INAF-Osservatorio Astronomico e Università di Trieste, è il Data Processing Centre per lo strumento a bassa frequenza. In questi anni una quindicina di scienziati dei tre istituti hanno collaborato febbrilmente, con continui scambi con il resto della collaborazione Planck, composta dai migliori esperti di analisi dati, computer science, cosmologia e astrofisica del mondo per un totale di più di 200 scienziati e tecnici.