Se è vero che il nostro pollice verde si associa facilmente – ascoltando qualche lezione di storia economica o, semplicemente, il bisnonno – alla blava, al fen, al sorc, è anche vero che abbondanti segni di una certa sensibilità verso il “bello botanico” (simbolico o concreto che sia) si ritrovano, anche qui da noi, pressoché ovunque, dal canto “Stelutis alpinis” al frequente rosaio in fondo al filare di viti. Senza contar i meravigliosi giardini e parchi delle ville signorili e dei castelli che abbiamo la fortuna di aver ricevuto in eredità culturale (per alcuni anche materiale, certo!) dai nostri Vons. Mai dono fu più gradito di un Bello e di un Sapere trasmessi dal passato. Intendiamoci: mica per vivere di ricordi! Anzi, l’entusiasmo dell’esclamazione è motivato da un pensiero esattamente opposto: l’intenzione di edificare le nostre esistenze partendo già da fondamenta positive e…antisismiche (stava per scappar di penna un “buone” ma tale aggettivo risente ultimamente di una certa reiterazione!), vale a dire solide e collaudate. Ecco perché si stringe il cuore in una morsa a veder nei tiggì quotidiani non solo povere vite umane spezzate come agnelli sacrificali ma anche opere d’arte fatte saltar per aria: cussì si còpin di gnuf chei che a son zà muarts, cussì si copa ancja chel c’al è ancjmò daur a nassi!
…ma torniamo a lis rosis. Nel nostro pregiato e profumato “Giardino FVG” ci sono tante occasioni per rifarsi gli occhi e le nari, specie in questa bella primavera. A breve, gli appassionati lo sanno, verrà riproposta la nota iniziativa “Giardini aperti” che darà l’opportunità di ficcare letteralmente il naso – con il benestare e con una punta di giustificatissimo orgoglio dei paròns – nelle aree verdi domestiche di chi ne ha dato disponibilità. Scopo principale è rendersi conto ed ammirare, appunto, che non c’è solo il callo del contadino nel nostro DNA ma anche la mano gentile e delicata che, amorevolmente, pota, innaffia, nutre fiori e piante decorative di ogni sorta. Il bello è che si spazia dai pochi metri quadri coltivati intensivamente da Sior Toni o da Siora Maria intorno alla loro sudatissima casetta privata al parco storico di ampie dimensioni di qualche conte o tenutario locale.
E’ ora di venire al dunque, ovverosia all’anello di congiunzione tra il discorso (che non vuol essere affatto paternalistico ma che si limita a prender spunto da lis brutis robis che si sintin ator) sull’importanza delle eredità del passato e la ricca offerta di spazi fioriti e curati in Regione. Quell’anello ha un nome ben preciso: Luciano Viatori. Ha anche un indirizzo: località Piuma, Gorizia, via Forte del Bosco. Chi non ha neppure idea di queste indicazioni non perda tempo, si organizzi e, appena può, ci vada. Faccia pure un grop al fazzoletto quando parcheggia nei pressi del parco Piuma: bello, davvero ideale per scampagnate all’aria aperta e per un giorno di relax in area verde attrezzata, specie se ci son pargoletti da sguinzagliare e da far baciare dal tiepido e latteo sole di metà aprile…Va bén, o tornarìn uevot, ma cumò no! Al è alc atri di viodi in somp de riba, a dìsin. Senza indugio bisogna, infatti, girar le spalle al parco e imboccar la breve salita. Si varca un cancello, si entra in una proprietà, si ha inizialmente l’impressione di andare a turbar l’intimità di una casa privata…Che sia il caso di far dietro – front?