Ad inizio di questo non eccellente campionato esordii sulle pagine di Friulweb con un pezzo, “quarantatré”, avente come foto il biglietto della gara di serie C Juniorcasale-Udinese (1-0, rete dell’ex Basili) disputata nel 1978. È il numero delle stagioni bianche e nere che ho seguito, all’inizio inconsapevolmente (o quasi) e poi crescendo con la squadra. Da quando avevo quattro anni, ed allo stadio ci andavo per le mandorle; poco importava se accogliesse il Moretti o il comunale di Nogaredo i profeti del calcio regionale, vaticinanti che il terzino era “un cjavròn” e l’ala doveva “sghiribicjà”.
Calcio verace, povero come poveri e belli eravamo noi. Divento sempre più vecchio e confino il bello in caselle man mano più lontane, indietro nel tempo.
Non è vero: certi slalom di Messi, certe reti di CR7, la poesia dell’Antonio in bianco e nero (gli venga impedito di smettere) mi strappano, ancor oggi, plausi e sguardi stupiti.
Ma tutto è cambiato: non gattopardescamente, ma globalizzandosi in un mondo sempre più uguale a sé stesso.
Inclusi i tifosi. Qualsiasi, dappertutto. Certo però che i nostri, qui, sono spesso più uguali degli altri.
Il carattere del friulano lo si conosce, lo comprendo anche io che a Udine sono nato e cresciuto, prima che mi mettessi in spalla inizialmente lo zaino da studente, poi la valigetta da giramondo per lavoro. Cinquantatré paesi girati con regolarità mi fanno rientrare in Friuli ogni volta con sollievo e fastidio. Il sollievo per il ritorno alla mia natione, di cui però i mores sento sempre meno miei.
È vero: qualsiasi calciatore, allenatore, dirigente sia venuto a Udine ha apprezzato come il massimo del disturbo ad un tesserato, in centro città, sia l’offerta di un taj, ne mai la profferta eccessiva e sguaiata del tifoso medio mediterraneo.
È vero anche, però, che la capacità di essere soddisfatto del tifoso biacca e carbone è inversamente proporzionale al progresso delle generazioni.
Non eravamo meglio noi, negli anni settanta di glitter e del primo colore; non eravamo migliori, figli e nipoti del secondo tempo della gara clou che quasi sempre finiva 0-0, attaccati alla radio privata ché le tivù locali mica esistevano. O alla trasmissione che ancora sopravvive, Tutto il calcio…, con le grate voci di Ciotti, Ameri, Provenzali, nella speranza che da studio dessero l’aggiornamento su quella gara di C-Girone A non in schedina.
Avevamo zero: niente autostrade, niente condizionata sui pullman, voglia di stare assieme la medesima di oggi ma niente tessere da tifoso, niente aspettative prima, niente amarezze dopo. Qualche smadonnamento se non si vinceva, finiva appena fuori dallo stadio.
Non avevamo queste arene virtuali ove ognuno si scopre opinionista, nel senso che sente il dovere di scrivere quello che gli passa per la testa. Sono democratico, come direbbe Allegri, per cui si accòmodino. Quel che Vi differenzia da “noi”, o dal “Voi” di trent’anni fa, è la sazietà.
No, non intendo i venti campionati di A garantiti da Pozzo. Neanche le qualificazioni-Champions ed Europee di almeno metà delle suddette venti stagioni.
Mi riferisco al sovraccarico di calcio cui il tifoso medio è sottoposto: partite giocate dalla squadra del cuore, da quella non del cuore, gare europee, internazionali, rionali, selenite, e processo del lunedì, e appello del martedì, e al mercoledì il forum della tivù a pagamento, e…
Lo spettatore ha perso la fame, che avevamo noi miserabili, nell’attesa del mercoledì di coppa, della gara la domenica alle 14,00 e forse il minuto della C, a Sportsera al martedì tardo pomeriggio (ricordo come fosse ieri la rete in tuffo di Ulivieri al Piacenza, commentata da Ennio Vitanza nel 1978 per i trenta secondi più belli della mia settimana). Oggi il calciòfilo friulano guarda tutto con lo sguardo annoiato, non mai oscarwildianamente ennuyé, perché ha già visto tutto. E l’Udinese non vince trofei, e la stagione è fallimentare.
Credete che a me non farebbe piacere commentare un trionfo? Ma a differenza di molti fra Voi riesco a godere delle piccole cose, di una vittoria, di un colpo di tacco: fatelo anche Voi, Ve lo chiedevo anche ieri!
Non sto guardando i grandi campioni, chili di troppo ma talento intatto, giocare con Zanetti sulla prima rete RAI: è troppo per me. Troppo come scoprire che Ruben Sosa assomiglia ormai a Lino Banfi, peggio ancora è scoprire che Horst Skoff, tennista austriaco idolo di noi adolescenti anni ’80, è morto sette anni fa d’infarto miocardico. Troppo.
Ma guardo volentieri le trasmissioni Amarcord, e mi convinco che quel calcio era più divertente, che quei tifosi apprezzavano di più la spontaneità del gioco lento e spesso impreciso di quegli anni.
Lo riconosco: le regole sugli spalti, e non dico non siano necessarie (anzi sì, sbagliato considerare gli stadi cosa altra), hanno quantomeno innervosito, se non sconsigliato, le schiere tifose di tutte le formazioni. No stendardi allo stadio, no bandiere, niente batteria di furgoncino che suonava la cucaracha da tre trombe multitonali. E ovviamente le televisioni a pagamento, in luoghi di aggregazione come le osterie, ne hanno tratto giovamento riducendo il numero di spettatori paganti. Ho omesso la crisi economica, un biglietto oggi costa tanto in relazione a quanti soldi entrano nelle case.
Siamo diventati anche noi più aggressivi, meno tolleranti, meno disposti a perdonare. Per ciò, da questo trespolo privilegiato, mi sento sempre meno tifoso. Non suoni come snobismo, è solo che non mi riconosco nei club, nei gruppi spontanei, nelle correnti di pensiero che spesso sperano il peggio per aver ragione.
Ultima strofa sui giocatori. In campo aggressività, accanimento, corsa sono preponderanti sul gesto tecnico. A metà degi anni ’80 Platini fu beccato dall’avvocato a fumare dopo una gara vinta a mani basse contro (credo) il Cesena di Schachner. Al rimprovero di Agnelli, preoccupato della salute del proprio numero dieci, il brillante franzoso di Joeuf rispondeva “Avocàto, è Boninni che deve corere, non io. Lui no deve fumarre”. Ma oggi un Platini, un Maradona, uno Zico non l’abbiamo, ed il Falcao colombiano all’ottavo re di Roma poteva forse portare la borsa in allenamento. E per questo chiedo, pietisco ai tifosi la pazienza, la voglia di divertirsi, il rifuggire la prevenzione per cui ogni rete di quegli che chiamano il pizzaiolo fa innervosire. Godetevela. Se ancora ne siete capaci.
Noi sì.