Antonella, poetessa di Topolò, fa rivivere Carlo Emilio Gadda nelle parole che egli stesso – Tenente volontario degli Alpini – scrisse e tacitò allo stesso tempo, dato che non volle fossero rese pubbliche se non dopo morto. Era il “Diario di guerra e prigionia, ottobre 1917 – aprile 1918”. Era la lucida e tremenda esperienza di una guerra assurda vissuta sulla propria pelle e mai più dimenticata. “Vita d’inferno” la chiamava, denunciando anche le incapacità dei superiori e le inspiegabili lentezze della burocrazia dello Stivale. Era un costante grido di rabbia e di indignazione verso l’indifferenza con cui i vertici a zuàvin di cu – cuc anziché prendere decisioni assennate. Tanto paga Bertoldo, paga l’ultimo miserabile Bertoldo senza voce, buttato in trincea o a trasmutarsi in allegri coriandoli a suon di esplosivo.
Vale la pena leggere le pagine del Diario, anzi, è anche una pena leggerle ma è quasi un atto doveroso verso quei puarìns che trovano un po’ di giustizia – se mai sia possibile giustificare dei morti in guerra – tramite lo sdegno del Tenente Gadda.
Quel che fa venire i nodi nello stomaco è constatare, con costernazione e sgomento, l’attualità della denuncia di Gadda, pur non essendoci (oggi?) qui guerra.
La classe dirigente – civile o militare che sia – è da una parte, i cittadini italiani dall’altra. Questi ultimi con tutti i loro matèçs e guai e bisogni.
Due Italie, come sempre. O, forse, tre o quattro. Mille Italie e non ce n’è una che funzioni. Gli errori, gli sprechi, i punti dolenti sono sotto gli occhi di tutti epùr…epùr o continuìn a lâ indenant cussì malamentri. Povera Patria, afflitta dagli abusi del Potere, cantava Battiato.
Possibile che da un tale pantàn no si rivi a vignî fûr???
Gadda vedeva la guerra dall’interno e ne denunciava le nefandezze, individuando anche il non prendersi carico delle sorti del Paese da parte dei potenti. A cento anni di distanza siamo ancora qui a raccontarcela, a lagnarci simpri di che mignestra e a non riuscire a crescere un po’ in serietà, onestà, assennatezza.
Ce roba, ce roba? Fevèla, tu, di ches robis alì: ti rispuindaràn che a son ducj onests e che a proviòdin al bene comune.
Fa male assistere impotenti al naufragio socio – economico – culturale della propria Patria, saveso??! Anche a Gadda faceva male, tant’è che su quel Diario annotava, annotava e, intanto, in parte al butava fûr un fregul di chel marùm…
Camminare sui passi di Gadda, attraversare i paesi da lui attraversati, fermarsi a Sverinaz, Clodig di Grimacco, lasciarsi avvolgere appieno dalle sue frasi e provare, di riflesso, la medesima indignazione. Trovare pace e calma, poi, semplicemente alzando gli occhi e ammirando la cura e l’ordine di quei piccoli paesi, così amorevolmente rimessi in piedi da tanti che erano emigrati ma che non si sono mai definitivamente slidrisâs da là. Farsi coccolare da una ospitalità che, al giorno d’oggi, appare come un piccolo miracolo: gente che ti apre la porta di casa – anche se siete in dieci, quindici più relativi zaini e scarponi – e ti chiede con calore di entrare e accomodarti per riposarti e rifocillarti. Donne e uomini sinceramente contenti di farti festa appena arrivi nel loro paese – perché la loro vera casa non son quelle quattro mura ma è davvero tutto il paese – e disposti a confidarti le storie delle loro vite, i ricordi, le difficoltà di ieri e quelle nuove, diverse, di oggi.
In men che non si dica il nostro bel gruppo si ritrova, infatti, presto introdotto nel salotto e sotto il porticato di una gentile coppia di Sverinaz. E’ stato un attimo sedersi e ritrovarsi in mano un caffè caldo e una fetta di gubana fatta in casa e così buona da essere…commovente! Per non parlare della grande ospitalità trovata a Seuza, dall’allegria e dalla facilità con cui fioriscono i dialoghi e gli scambi di idee, di consigli, di impressioni.
Gadda non poteva certo saperlo, ma l’uomo d’armi e lo scrittore avrebbero creato un secolo dopo una piccola tradizione, quella della camminata letteraria sui suoi passi – di pace e di condivisione.
La letteratura non è semplice passatempo: può davvero contribuire a creare dialogo e ben disporre gli animi. Alla faccia degli pseudotecnocrati che pensano che l’Uomo due – punto – zero non abbia più bisogno di coltivare lo spirito e le Lettere. Forse anche in questo diffusissimo pinsir màt e fur dal semenât affonda lo sgretolarsi di un Paese, di una Comunità bella quanto un mandala ma così facilmente disperdibile da una soflada di aiar un fregul plui fuart dal sòlit.