Aria di festa e abbondanza di polveri sottili. Da un pezzo non piove sulla nostra Regione e le montagne sono in buona parte pulite e splendenti, nonostante le suppliche e le preghiere degli albergatori dei poli del cosiddetto “turismo invernale”.
Se fossimo ancora nella Italiona da bere, sglonfa e pasùda – quella dei remoti anni Ottanta e Novanta tintinnanti di denaro, vi ricordate? – si sarebbe detto che “il grande circo bianco” non si è ancora messo in movimento. Ora, purtroppo, a molti vien quasi da sorridere al solo pensare alla “settimana bianca”: scatta subito nell’immaginario il clichè del classico vacanziero chic, sorriso blanc lusìnt sul volto abbronzato, mentre sfreccia nel suo abbigliamento tecnico e con tanto di crema fosforescente in faccia, spalmata a righe a mo’ di Sioux…Eccolo lì, vola su qualche croccante pista nera da discesa, dando bella mostra della sua agilità e delle sue…griffe cucite addosso.
Roba di un’altra epoca, dite? Certo (e lo speriamo vivamente), molti ancora la fanno, questa benedetta vacanza invernale e, d’altro canto, essa è nel loro pieno diritto, ceteris paribus.
Magari cussì tancj! Vorrebbe dire moneta che circola, consumi in crescita, indotto, tanta più gente (voucherizzata?!) a lavorare, a fâ la stagjion a Tarvisio, Ravascletto, Arta, Sauris. (Piccolo inciso: verificare, prima, se ad Arta le terme sono aperte…).
Sogni, fantasie…ma la neve e i danari da spendere sono altrove, non qui.
La Furlanìa guarda, come se fosse affacciata alla vetrina di se stessa; guarda e non favella.
La Furlanìa che, ufficialmente, si è tuffata da una manciata di giorni nell’inverno 2015 – 2016 è solo tanto, tanto polverosa. Sùta come non mai, proprio lei che si è, nel tempo, pure guadagnata la nomea di “orinale d’Italia”, data la sua proverbiale e ragguardevole quantità di piogge annue. Secca, asciutta e confusa, al punto tale da dare il nulla osta alle gemme di far capolino.
E dopo tutto l’asciutto? Nebbia! Fumata penza degna della più autunnale delle Pianure Padane! Lascia straniti uscire dalle chiese e trovare quel vedo – non ti vedo anziché qualche giovane e fresco fiocco di neve a salutare il Bambini Santo appena nato.
Tutti a guardare le tivù, allora: viodìn lis previsiòns dal timp, viodìn se a mètin ploa…macchè, solo servizi e reportages che ricordano alle nostre coscienze poco ecologiche i tracolli del clima mondiale. Perché ci meravigliamo??? Cosa speravamo di avere, dopo aver prodotto (fatto produrre…) e consumato cataste di roba fatta senza sottilizzare troppo né sulla salute del lavoratore né su quella della casa di tutti, cioè il nostro pianeta?! Qui il discorso si fa intricato e pieno di protocolli scaduti o prorogati, promesse di buona volontà cui, si spera, seguiranno fatti.
Ce fâ, alòra? Ci ritoviamo tutti al bancone dell’osteria – no tu varâs migo impegnos, no? – a condividere un brulè secondo tradizione mentre qualcuno profetizza: verrà la batosta, o viodarês, verrà General Inverno con l’artiglio gelato e brucerà tutto, speranze floreali comprese. (Con tenerezza e un velo di dispiacere pensiamo alle foglie verdissime di narcisi selvatici già spuntate in giardino, impazienti di dare il meglio di sé ma segnate da un progetto di vita sbagliato in partenza).
Si parla del tempo per prender tempo, dite? Biel lant non si ferma, non temete, non temporeggia; ha solo optato per un viaggio fatto di ritmi e sensazioni diverse, come diversi sono i vari momenti in cui l’anno del calendario può essere diviso.
Si tratta di un andare che non consiste solo in uno spostarsi da un luogo a un altro, ma anche e soprattutto un miscliçâsi cun la int, attraversare centri abitati, incontrare persone più o meno conosciute e aprire o rinnovare un ponte comunicativo, a volte anche breve e temporaneo, altre con un seguito durevole.
La bella stagione, come è ovvio, facilita gli spostamenti, le esperienze e gli incontri all’aria aperta: le giornate sono lunghe e non servono grandi attrezzature par plantâ su una gjita: un po’ di benzina nella fida utilitaria, borsa termica con qualche genere di conforto, vestiario di ricambio. Il periodo invernale, invece, richiede qualche cura organizzativa e pianificatrice in più: poche ore di luce, temperature meno favorevoli e condizioni climatiche non sempre adatte a tutti i compagni di biel lâ.
Il dove andare – cosa fare nasce comunque, sia d’estate che d’inverno, sempre da molteplici ed eterogenee matrici: spunti trovati sul web, approfondimenti personali, chiacchiere con amici e anche suggerimenti raccolti bevendo alc al bar del paese in cui si è capitati un po’ per caso, un po’ per sorte.
Capita a volte che sia proprio il caso a metterci lo zampino più fortunato e foriero di belle avventure. Questa ultima eventualità è, forse, tra le più affascinanti perché regala quel profondo e fanciullesco piacere della scoperta che fa rimanere cun tant di bocja.
Caso o intenzione che sia, l’importante, per noi, è non fermarsi e continuare a sondare il nostro territorio, a interrogarlo e a chiedergli di restituirci senso, storia, possibilità per il futuro, risorsa e appoggio per questo presente piuttosto imbardeât.
Cominciamo dal Natale da poco trascorso. Nonostante tutto abbiamo la sensazione che, dopo decenni di ubriaco consumismo, a poco a poco il carrellone della spesa pare ritorni a colmarsi di beni più leggeri e meno deperibili, rosolio per lo spirito.
Ci vuole un po’ di impegno, però.
La nebbia tacadiça e la polvere abbondante sulla Furlanìa rischiano di darci un panorama offuscato e ambiguo; la tentazione di andare sul sicuro, dove la strada è ben segnalata e il sistema eliminacode ci mostra tutto in offerta e pronto all’uso, è forte. Noi lo saremo di più, però! Non ci lasceremo risucchiare dal vorace carrellone, rimarremo ancorati alla nostra utilitaria (Ulisse fece sforzi ben maggiori per resistere alle sirene!) e …andremo in cerca di alternative di cui fruire.
Più facile di quanto ci eravamo inizialmente immaginati.
Il periodo che va dall’Immacolata fino alla Befana, in Regione, è, per nostra fortuna, un tripudio di storie raccontate, bande, cori, orchestre, recite e messe in scena. Non mancano gli scrittori con la loro ultima novità fresca di stampa, i cantautori, gli uomini di cultura, i creativi, gli artisti. Associazioni e sodalizi collaudati da anni e dalla passione ci offrono ancora spettacoli di pregio e a portata di tutte le tasche, ma proprio tutte. Finchè va. Ecco, allora, che a pochi passi da casa possiamo ascoltare cori gospel con i controfiocchi, bande civiche e cori CAI, nonché ammirare esposizioni di presepi (vedasi il libretto del GiroPresepi 2015) e i nostri bei paesini addobbati a festa. Basta poco per far festa. Basta onorarla e glorificarla, riscoprendo il piacere di stare insieme, di parlarsi dal vivo anziché tramite stringati messaggini o post laconici; è sufficiente comprare due panettoni in offerta al supermercato e mangiarli insieme, in piazza, sotto l’albero. Se fa freddo ci si copre, se c’è smog si arriva a piedi, senza fretta. Almeno a Natale.
Di cosa parlare? Siamo così abituati a dialoghi così stringati che un intero discorso sta diventando un po’ come il tema di italiano (“non so più cosa scrivere”) delle scuole medie…per fortuna, dopo poco ci si smòla e si fevela di lavôr, di bancjis, di pulitichis, di laris, di cui che si cjata e di cui che si lassa.
Emergono anche ricordi, lontani e vicini. E’ con uno di questi che vogliamo far terminare questa puntata di Biel Lant: una escursione in Carnia fatta lo scorso ottobre, quando in quota faceva più caldo che in pianura e dove si avanzava tra zone soleggiate, calde, verdi e lussureggianti e zone in ombra, già coperte dalla neve (la neve!), insidiosetta e scivolosa, insediata in pianta stabile fino alla prossima estate. Metafora della vita, quel sentiero, fatto di singoli passi, ognuno diverso dall’altro, tutti armonizzati secondo un tracciato unico e irripetibile.
A tutti Voi Buone Feste, Biel Lant!