Togliamoci il pensiero: tre piccole cose per mettere in chiaro la situazione.
Primo – l’Udinese avrebbe potuto anche pareggiarla, quando Badu ha colpito il palo. Ma…
Secondo – l’Udinese ha meritato la sconfitta, ed il Carpi la vittoria. Perché…
Terzo – Il Carpi non è una squadra DA serie B: è una squadra DI serie B in vacanza-premio in massima categoria a spese di Lotito e company.
Già: la squadra carpigiana è una formazione di serie cadetta, condotta con saggezza dal vecchio zio Castori che sa perfettamente di gestire una rosa forse inferiore, per qualità tecniche, a quella che nel 1979 l’Udinese schierava contro le vere potenze del calcio italiano: Francesconi e Pasciuti, Lollo e Pianca, Letizia ed Arrigoni o Bressani versus Lasagna. Eppure oggi i bianchineri parevano preda di una sindrome narcolettica, ovvero di fronte gli si era parato il Barcellona grandi firme.
Dopo nove minuti, e ve lo giuro su quanto di più caro ho al mondo, mi sono reso conto di stare guardando il replay delle gare del recente passato che l’Udinese si rifiutò di disputare. Parma. Cesena. Stesso copione, esattamente lo stesso.
Con l’aggravante che oggi, in tutta onestà, gli azzurrigialli di Colantuono han fatto fare un figurone a carnéadi avversari di cui tutti fra noi ignorano vita, morte, soprattutto miracoli. I due Lorenzo, Lollo e Pasciuti, han fatto tutta la gavetta con i biancorossi emiliani ed oggi hanno coronato la propria carriera con la prima rete in serie A, casualmente alla formazione cui storicamente tutti quelli come loro timbrano la rete: financo il povero De Camargo Enèas. Solo Luis Silvio e Luvanòr ci hanno risparmiati. La prima rete è emblematica: mezza squadra segue Zaccardo sull’angolo sinistro di difesa, questi lascia biglia al liberissimo aversano Bianco, un paio di gare con la Juventus in B (forse anche una rete a Rimini, se non erro), il quale coglie l’attimo e la capoccia di Pasciuti a centro area, “ben marcato” nei suoi centosettantadue centimetri di elevazione da Piris e Widmer.
La seconda realizzazione domestica par sin comica. Tristemente: da una rimessa laterale, di quelle che abitualmente in area i difensori controllano pensando a cosa faranno il giorno successivo, Danìlo riesce ad imitare l’Edenìlson di mercoledì scorso e si fa impapocchiare da Lasagna, che concede a Lollo la più facile delle gioie.
Finita. Anche se Duvàn sancìsce il rientro con la più casuale delle reti, dopo una doppia carambola; anche se Badu prova due volte a sorprendere Belec (peccato, magari con Brkic in porta…): se una squadra è andata più vicina a segnare ancora nell’ultimo quarto d’ora non è certo della biancanera che parliamo (grande prestazione di Karnezis, ennesima).
Ci hanno provato, quelli bravi, a convincermi: Causio dallo studio della televisione societaria, Colantuono partendo già da ieri (e dimostrandosi ancora una volta non un pirla) hanno adombrato il complotto, e uso scherzosamente tale termine, ordìto ai danni dell’Udinese da parte di chi ha fatto giocare alle 15 di oggi la squadra che aveva disputato la gara precedente solo mercoledì, impedendo il recupero. Piccolo appunto: anche il Carpi giocò lo stesso giorno. Anzi: tre ore più tardi. Okay, ci avete provato. L’Anziate rincara la dose affermando che dalla gara col Sassuolo stanno spendendo molte energie causa un gioco estremamente aggressivo. Ammirevoli. Dico davvero. Specie dopo due settimane di sosta.
Niente da fare: una gara bene, una male. Due gare bene, un’altra male. Questa squadra non ha costanza, patrimonio ovvio delle formazioni le quali, oltre che un’anima consolidata da un gruppo cementato da anni ed anni di frequentazione (senza periodiche cessioni di massa), godono di una certa qualità di base. Vale nel calcio come nella vita, ed è un principio che ho imparato (all’inizio a mie spese) negli States: we want quality, we entail consistency. Vogliamo qualità, pretendiamo costanza di rendimento. Il resto sono chiacchiere e distintivo, che non fan la storia né danno punti.
Maturità? Capacità? Boh. Questa squadra balla un tristissimo cha cha con un passo avanti e due dietro. Cambiano i conducatori, alcuni interpreti in campo ma l’Udinese degli anni duemiladieci (dal cucchiaio di Mago in poi) projetta forse in campo un certo distacco (non arrivo a dire disinteresse) manifestato in maniera esponenzialmente crescente dalla proprietà. A proposito: tantissimi fra Voi hanno letto la mia confessione di ier sera su quel che pensassi della ridenominazione dello Stadio Friuli in Dacia Arena – (Stadio Friuli). Di ciò commosso ringrazio, anche dei contributi d’opinione che mi fanno crescere ogni giorno un pochettino. A me che vogliano portare a casa mezzo milione l’anno per affiggere uno scudetto bluette importa zero, lo dico sinceramente; è solo che in un momento storico bianconero come questo, in un filotto di stagioni mediocri, mi è parso improvvido cedere anche solo parte del nome (e comunque Bernard Chrétien il nome “Friuli” non lo pronuncia proprio, nel suo comunicato) ad uno sponsor per quanto questo possa essere importante per le casse aziendali. A proposito: leggo importanti opinionisti citare (scusatemi, improvvidamente) altri stadi europei brandizzati con nomi di grossi sponsor internazionali. Siccome le vicende di due fra questi conosco direttamente, parlerò solo di uno: l’Arena di Monaco. Il nuovo stadio è sorto fuori dal Ring quando il mitico Olympiastadion è apparso di impossibile aggiornamento. Si chiama Allianz (quando ci gioca il Bayern, non in occasione di gare della Nazionale) per due ragioni: l’azienda di assicurazioni si è accaparrata i diritti sul nome fino al 2035, ma soprattutto ha finanziato praticamente al 100% la costruzione. A me non pare proprio la stessa cosa. Dopodiché leggo che c’è gente orgogliosa per il fatto che si parli dello Stadio di Udine, quindi i Pozzo han vinto e non ne parleremo più.
Parlerò invece dei quattordici che hanno giocato oggi, con particolare menzione per il disattento Danìlo; per Godot Bruno Fernandes, uno che attendiamo in scena da tre anni ma evidentemente è un giocatore a sprazzi, tipo quelli che al lunedì sera illuminano per venti secondi la scena del campetto da calcetto poi puntano alla Coppa Chiosco; soprattutto Alì Adnan. L’Iracheno è partito fortissimo, ha messo in mostra i propri gioielli calcistici impressionando tutti, poi quando il fisico è calato (ovvia conseguenza di un campionato ed un clima per lui inconsueti) sono emersi i limiti che oggi gli hanno impedito di giocare al calcio. Quando anche i tocchi più semplici non riescono, ne risente la personalità e senza quella per giocatori normali si fa dura.
Ma senza puntare il dito, ché la sconfitta non è causa di uno o due giocatori, ripeto quel che dissi della truppa di Stramaccioni quando perse a Parma, l’anno passato, senza colpo ferire: pensino ai settecento friulani al seguito, oggi; pensino a noi, che ci sentiamo comunque di scriverne; ci pensino, e si vergognino. Perdere si può, ciò non rappresenta onta alcuna; uscir sconfitti perché in campo praticamente non ci si scende è professionalmente inaccettabile.
All’epoca mi si rimproverò il termine pesante, “vergognarsi”, usato nei confronti del tecnico di San Giovanni e dei suoi giocatori, in nome della coabitazione pacifica nelle sale stampa degli stadi del mondo. Mi ripresi il pezzo, non fu pubblicato. Sono uomo di disciplina e verticale, ancora iscritto all’Ordine del Giornalisti ancorché non interessato, oggi, a condividere le mie sciocchezze con testate pubbliche, ma in ogni caso se incontrassi qualsiasi dei protagonisti bianconeri d’oggi, nei prossimi giorni, gli direi in faccia la stessa cosa. In ciò non sono friulano: tendo a tenere il muso verso le offese, e gare come quella odierna per me lo sono.
Perché non sono un capopopolo, ma un uomo che dal popolo operaio viene e ancora ci vive. E saperli spendere, settecento fra loro, cento e più euro per seguire una passione salvo poi assistere a spettacoli come quello modenese, merita la mia seppur timida e sommessa intemerata.
Ma non c’è problema: domenica prossima i bianchineri accoglieranno i teorici omocromi al Dacia Arena. Se sono degli uomini veri, hanno la possibilità di provarlo. Altrimenti nessun rancore, Sciascia ha previsto quattro, cinque categorie di suddivisione morale: per i calciatori d’oggi spesso ne bastano anche meno.
FRANCO CANCIANI