
A mia memoria, una situazione così paradossale non si verificava da decenni. Forse da quando male allenava S-Ventura, anno 2002. Di sicuro non durante la striscia negativa di Pasquale Marino, dopo la quale si intraprese un filotto che portò l’Udinese ai piedi dell’Europa.
Nemmeno l’anno passato.
Pensare che la gara contro la Roma potesse dare punti e certezze ad un’Udinese in queste condizioni era utòpico; ma qualcosa di più sì. Di fronte a dei sornioni giallorossi, che tutto sommato hanno fatto il minimo sindacale per portare a casa tre punti: qualche verticalizzazione, d’altra parte dei quattro tenori davanti si sapeva; una difesa appena appena dignitosa, avverso al finto 4-3-3 dove spesso il centravanti si manifestava nelle laterali improprietà di Edenìlson.
Edin Dzeko finisce i rosari con Spalletti e insacca una rapida triangolazione romanista alle spalle dell’incolpevole Oreste; maleducatamente, oserei dire, nel senso che non attende nemmeno l’entrata degli Ultrà in curva Nord prima di segnare indelebilmente la gara. Notevole la permeabilità di Danìlo e Felipe. Neanche in terza serie.
Un primo tempo al borotalco: un’Udinese impalpabile, nemmeno un tiro un contrasto uno spunto. La Roma senza forzare ne potrebbe infilare quattro.
Ripresa con Zapata al posto di Edenìlson colpevolizzato dal trainer alla fine della gara per non aver svolto un compito affidatogli (come sempre una chiara assunzione di responsabilità dell’Anziate); palo dopo pochi giri di lancette, nemmeno la fortuna aiuta i non audaci bianchineri. Venti minuti di buona lena, fin quando nei giallorossi entra Pjanic e la gara ripiomba fra le braccia degli Spallettiani, che raddoppiano quando Miralem la scodella verso capitan Florenzi, il quale finge il tiro su Felipe, lo fa girare, lo scarta e spuntella in porta senza pietà. Felipe si volta sulla finta mentre Danìlo marca Karnezis. Neanche in terza serie (riciccio).
Bruno Fernandes, discreta gara e l’ultimo ad arrendersi (o forse l’unico a non averlo fatto), mette in rete all’85’ la rete che accorcia le distanze, ma la gara è finita da settanta giri di lancette. Poche illusioni, grandi abbracci giallorossi, e Danìlo che si volta e, mi dicono i meglio informati, indica il cielo al popolo ultrà utilizzando il dito medio. Quel che poi sia successo lo sapete anche voi, ma adesso si spiega meglio.
Qualcuno gli tolga la fascia di capitano, intanto. E la dia a chi se la merita di più.
E subito dopo, indichi a Colantuono la strada per uscire.
Lo so: i calciòfili più esperti dicono che il mister non conta per più del 20%, e che l’Anziate sia uno dei migliori su piazza. In campo: ma fuori, nella settimana, nei comportamenti, nella gestione di gruppo ed ambiente società e allenatore contano per il 100%. E questo qui, una bravissima onestissima capacissima persona, assieme ad altre bravissime onestissime capacissime persone nella dirigenza, se non hanno la decenza di fare un passo indietro dovrebbero essere cacciate. Lo ha detto anche Colantuono in post-gara: l’esonero fa parte del gioco. A me è sembrato un messaggio subliminale: io non mi dimetto, se volete mi esonerate e mi pagate la buonuscita. È sempre una questione di soldi, e non regge la teoria “ha lavorato al massimo, non ha senso dimettersi”.
Ho le braccia stanche di questa squadra. E la testa, ed il cuore. Il calcio più di ogni altra disciplina sportiva è passione, furore di popolo, esaltazione e depressione, vittorie e sconfitte che lasciano segni indelebili. E quando in campo ci vanno dei giovanotti ultrapagati cui frega zero di tutto e tutti, tanto siamo a Udine Stazione di Udine, anche scriverne male è fin troppo.
E va ancora peggio quando si permettono di reagire in malo modo, questi viziatelli, alle invettive di persone che investono tempo e molto denaro per seguire quei colori di cui, ribadisco, a loro interessa zero. Questo non è in alcun modo accettabile. E poco importa se io, un gruppuscolo così insignificante di ciabattanti non perderei tempo a fischiarlo, ma lo ignorerei: le reazioni del committente vanno rispettate, e se sono irragionevoli, confutate. Il dito medio, caro ex-capitano Danìlo, va rinfoderato dove il sol nemmeno cuoce. Se vuole glielo traduco in dialetto paulista.
Questo popolo è sacro, e se dopo dieci mesi c’è gente che dice al guardalinee “no foul”, in inglese e non in italiano, qualcosa non va. Anzi, molto non va. I punti sono sempre trenta, e non ci si attendeva nulla di meglio avendo dovuto affrontare la terza forza del campionato, che veniva da sette vittorie consecutive. Alcuni puntavano sulla delusione post-Madrid, ma quest’Udinese fa paura solo a sé stessa.
Ora si va a Sassuolo. Degli avversari non mi interessa granché: vorrei solo iniziare il filotto delle ultime nove gare con un allenatore diverso. Mettessero anche Fedele, Giacomini, Galeone per dire tecnici che si sono ritirati dalle scene: ma non questo Anziate, foriero di scuse per sé (marginalmente per i giocatori), per il quale le sconfitte sono quasi sempre immeritate, ricco di ahò ma sempre passivamente seduto nei momenti più caldi delle gare, se queste hanno preso una china negativa. Il suo spirito combattivo non si è mai visto; il suo gioco lo stiamo aspettando; praticamente un Godot della panca, di cui già adesso non sentirei più la nostalgia. Anche perché continua a dire che tutto va bene, gli hanno chiesto la salvezza e ad oggi l’Udinese è salva.
Sarei potuto essere più cattivo, deciso, assatanatamente accanito contro questa congèrie di scalcianti senza arte né parte. Non ho inteso farlo. Provo pena, infinita, per coloro i quali spendono soldi, energie e messaggini per esprimere la loro passione, riposta in un groviglio di caratteri internazionalmente insignificanti. Li spedissero anche tutti, tranne pochissimi.
Tipo quello che mi ha creato una stretta al cuore, quando si abbracciava affettuosamente con Totti ed assieme a lui si riscaldava fuori dal campo, mentre per scelta tecnica Colantuono gli preferiva Matos e Kuz. Dico, Matos.
Lo stesso che cercava di riappacificare tifosi e compagni, invitando Danìlo a smettere di cercarsi notte.
E guardandoli, Totti e Totò, ormai avviati alle ultime nove gare delle loro bellissime carriere, loro due che hanno (per diverse ragioni) barattato allori e trofei per una vita sportiva tutta nella stessa squadra, penso che io nel Dacia Bunker, per come sono messo, meno metto piede e meglio sto.