Ci sono quei giorni in cui vivere pesa. Sembra che il cielo eserciti una pressione insostenibile, altroché leggerezza dell’essere; par perfino che Dio ci abbia tolto il saluto, come direbbe Pino che lassù il ciao non se lo farà sicuramente togliere. Sono gavanello eighties, Mango e non Daniele. Insomma, la vita sarà pure una scatola di cioccolatini, ma qualche volta sai bene quello che ti capita: la pralina alla me**a.
Ed allora un mononeurone come me potrebbe falsamente ritenere che il calcio sia balsamico refugium peccatorum per chi teme dall’esistenza una penitenza sperequata, superiore alle nostre immense mancanze.
Appunto.
Trapattoni si lascia scappare un “porca putt…” e rischia il licenziamento dalla RAI. Diciamoci la verità: il commentatore tecnico ad andar bene è utile come le rotelline sulla bici di Peter Sagan, ma spesso convincerebbe anche un masochista ad azzerare il volume. Finalmente trovano un caratterista che vive la gara come fosse in panca, e lo vogliono silurare per lasciar spazio alle soporifere telecronache dei vari Rimedio, Lollobrigida e compagnia addormentante. Gente che in una gara di mediocrità arriva quinta. Davvero vogliono vincere la battaglia per l’audience contro Piccinini, Caressa e Pardo affidando i commenti a degli onesti lettori di veline? Prendo atto: streaming sudamericano o azzero il volume.
De Canio a malapena sballa le valigie e scopre che Di Natale non è in grado di allenarsi con ragazzi quindici anni più giovani. Ma davvero tutta questa decisionalità viene da un allenatore il quale, forse una volta nel 1996, disse sottovoce “porco cane”? Ci credo, e nel frattempo vado online e cerco sulle mappe lapponi la casa di Babbo Natale. Questa presa di posizione ha l’acre e fumoso odore di un diktat societario, mascherato da “scelta tecnica”. Sbaglierò. Però mancavano sette gare alla fine della carriera di Totò in bianchenero, tutto ciò serviva? Non bastava mandarlo in panca e basta? Prendo atto: Di Natale a casa e natalità in aumento al Dacia Bunker grazie alle iniziative della nota casa utilitaria francoromena.
Il Napoli, che non mi è indifferente, decide (ma forse l’abbiamo sopravvalutato) che lo scudetto vada a Torino, e viene a Udine con la pugna, la decisione e la forza del team “ufficio bustarelle e raccomandazioni” di fantozziana memoria. Eppure i tifosi (definizione che presuppone un qualche grado di malattia) partenopei pubblicano sulle reti sociali foto di tessere-pay-tv strappate, ché il gombloddo a favore della Juventus e contro loro, meridionali e quindi odiati, rende le cose più facili da capire.
Il comportamento di Fidél Sarri è tutt’altro che allineato con quel che si dice del figlinese: piange, afflitto, si fa cacciare cinque volte in un anno, dimentica i favori e sottolinea presunte irregolarità avverse. Ci ha messo pochissimo ad allinearsi ai flentes comites, deludendo chi, come me, sperava in un raggio di sole.
Peggio ha fatto Gonzales Higuaìn: inizia la gara protestando, protesta all’intervallo, getta via la palla avverso un fuorigioco di un metro da lui ritenuto iniquo; scalcia Felipe, viene espulso e comincia l’ammuina napoletana, che tanto bene ha assorbito negli anni di permanenza, menando compagni avversari arbitro e meritandosi quattro giornate di squalifica. Risultato? Sollevazione popolare. Ricorso immediato. Insomma, gombloddo.
Nessuno che abbia osato dire “a un professionista 29enne, che percepisce quasi sei milioni l’anno, si chiede un comportamento diverso… Niente ricorso (tanto lo scudetto è andato) e multa al pedatore”; nessuno che abbia chiesto scusa al collega Paolo Bargiggia, che per avere adombrato l’ipotesi di una cessione è stato messo alla berlina, causando l’interruzione delle comunicazioni fra S.S. Napoli e Mediaset. Nessuno che abbia scorto nella tarantella argentina un ottima ultima scena Higuainiana, il cui seguito potrebbe benissimo essere “non resto in Italia perché ci sono i poteri forti e vince sempre la Juventus. Vado in un campionato di onesti”. Dove, per altro, Conte e Abramovic darebbero sessanta pippi a De Laurentis e una decina al centravanti più forte in circolazione.
Non lo giudico, non mi interessa: dico solo che se Diego avesse dovuto reagire alle provocazioni dei vari Gentile, Bruno e compagnia scalciante, avrebbe passato un mese in campo e sei in tribuna. La classe non è acqua, e con la scomparsa di Johannes e del capitàn Cesarone siamo tutti un po’ più soli. Prendo atto: calcio declassato.
Mi rimarrebbe l’Udinese-calcio-giocato, ma se anche le vincesse tutte da qui in avanti non mi cambierebbe la vita. Tre stagioni gettate al cesso, senza passare dal via, sono troppo per chi, come me, delira per un colpo di tacco neanche troppo riuscito, o per quel numerosette dai calzettoni arrotolati.
Insomma, il calcio non è un’isola felice. Il calcio di questi giorni è una pena. Vabbé: datemi la scatola di cioccolatini. Tanto a certo ripieno sono ormai tristemente abituato.