Sarò scemo, ma continuo a non essere preoccupato: l’Udinese si salverà. Ma non è questo il punto.
Perdere o vincere, talvolta né l’una né l’altra pareggiando le gare, è il sale dello sport. Ma oggi, al Dacia Bunker, si è consumato l’ennesimo episodio umiliante dell’ultimo triennio. Al Friuli e alla Sandero Arena ci sono state goleade, più spesso subìte che realizzate dai casalinghi, ad opera di squadre di qualsiasi dimensione. Solo quest’anno tre pappine dal derelitto Milan, quattro da Inter e Juventus; addirittura meglio ha fatto il Torino, oggi, segnandone cinque valide, un altro goal non convalidato (il fuorigioco di Belotti è inesistente) e dodici contropiedi a difesa biancanera crollata.
Il tifo bianconero, ammirevole e quasi avulso dallo squallore in campo, non merita di questi spettacoli. Eppure non sono nemmeno arrabbiato, nel comporre queste poche misere righe. L’ho detto: non mi sento più tifoso, se le sensazioni più forti me le suscitano immagini di maglie antiche e gloriose, indossate da uomini che ci ricorderemo per sempre. Dei quattordici schierati oggi, purtroppo, rimarrà neppure tanto. Aver rivisto i miei idoli giovanili quarantott’ore fa, a Cormòns, rende la prestazione (prestazione?) odierna ancora più penosa.
Ho letto le pagelle messe qui e lì dagli esperti dell’etere; i commenti, degli addetti ai lavori e dei colleghi.
Io non ho nulla da aggiungere: se uno studente all’università fa scena muta di fronte a un professore nemmeno troppo severo, nell’occasione più importante del proprio cursus studiorum, c’è niente da dire. Si deve vergognare.
Il Toro è la squadra più soporifera della serie A: imbastisce una rete di passaggi di solito inutili, che producono il classico sterile giropalla dell’allenatore ex-bianconero da me meno rimpianto. A proposito: se il dopo-Conte dovesse essere affidato, parlo di Nazionale, al tecnico genovese, è la volta buona che inizio a tenere a San Marino.
Invece oggi, fallita un’occasione con Matos, i bianchineri battezzano la prima rete del legnoso svedese Pontus Jansson. Da lì in poi l’Udinese è sembrata un cubetto di ghiaccio nel mojito granata, a cominciare dagli inguardabili Edenilson e Alì Adnan, con l’iracheno capace di rendere il bravo Zappacosta imprendibile come Garrincha, per continuare con l’inesistente centrocampo e due punte senza lode alcuna.
Basta, non ho altro da dire su questo argomento, come direbbe il fortunato Hanks di Greenbow, Alabama.
De Canio? Non ho mai caldeggiato il rinnovo al materano, ma la tranquillità con cui guidava il gruppo mi aveva quasi convinto che il cretino ero io. Invece non sarà un pirla, ma molti suoi ciabattanti sono solo dei bidoni. E lui miracoli non ne fa, spesso (oggi) mandando in campo una formazione che comprende solo lui. incluso un difensore e uno zappatore di centrocampo messi sull’1-4 e 1-5. Tenevano il risultato?
Quando il paròn Pozzo diceva, sempre a Cormòns, che ormai essere europei significa non essere stranieri, capivo che ciò riguardava anche la gestione finanziaria e scouting della società, ormai quasi interamente foresta. Conseguenza ovvia l’esterofilìa in campo.
Forse non a caso, invece, il Torino ha investito su una formazione giovanile prestigiosa e vincente; su alcuni ragazzi presi in giro per l’Italia e lanciati in prima squadra, tipo Baselli Zappacosta Benassi, anziché orientarsi solo su virgulti esotici dai nomi suggestivi ma dalle capacità d’adattamento non sempre in linea con le attese. Soprattutto, anziché covare presunti campioncini di Chelsea (Perica) e Napoli (Zapàta), il Toro ha preso dal Palermo un ragazzone nato nella profonda bergamasca, investendoci sette milioni (non settanta) e per il quale (lo scrissi dieci mesi fa, e non una sola volta) avrei stravisto avesse indossato le sacre bande bianchenere. Andrea Belotti, il gallo, è buono come il pane; forse ancora un po’ grezzo, ma cos’era Oliver Bierhoff quando arrivò a Udine? Non certo il golden scorer degli europei del 1996.
Invece no: brasiliani, islandesi, stagionati sudamericani rispediti al mittente per manifesta inferiorità, e i pochi buoni giovani in portafoglio (Zielinski, Verre, Penaranda) mandati altrove.
Sommessa supplica, al direttore Giaretta: Lei è una brava persona, e si vede. Ma non si senta costretto ad aprire il supermercato prima che sia giunta l’ora. Mi dia, ci dia almeno l’illusione che Widmer (cosa gli è successo, oggi? Neanche in panca) e i suddetti ragazzini (Penaranda andrà al Watford, ormai assodato) non siano messi sul mercato prima che qualcuno quantomeno glielo abbia chiesto. Grazie.
Basta. Di solito sono troppo prolisso, stasera sarebbe bastata una parola sola: vergogna. Non per me, ancora pieni gli occhi di amici storie immagini raconteurs del calcio che c’era e c’è; non per chi, paziente, sfida tornelli e parcheggi complicati per venirvi a guardare alle sei di sabato pomeriggio. Solo per voi: società, staff tecnico, ciabattanti pedatori; questa parola, vergogna, risuoni solo per voi nella bellissima e modernissima struttura dal nome romeno. Centottanta minuti, poi sarà un sollievo sapere ch’è finita. In attesa della prossima stagione, ché non sia la quarta di fila avente la depressione come fil rouge. Allora, ce li fate ‘sti due punti o no?