Antonio Di Natale con in mano la maglia di PMM25 mostra che caratura di persona stiamo perdendo.
Lui, Maurizio e Giovanni lasciano questi colori quando sarebbero altri che (e spero succeda) dovrebbero sollevare le folle bianchenere dalla propria presenza.
Non so se stasera, preposto l’apposito e penosamente scarsissimo Mazzoleni, si sia orchestrata una serata per non interferire col duello Palermo-Carpi; comunque sia, è andata in scena l’ennesima mancata prestazione. Il complesso società, allenatore, giocatori ed arbitro hanno fatto di tutto per agevolare la gara dei carpigiani. A proposito: non mi spiace di vedere la squadra di fabbri del signor Castori retrocedere. Anche stasera hanno mostrato che si sarebbe dovuto salvare il Frosinone, ma non loro. Senza rimpianti, godetevi la serie B.
Perché acredine verso la “simpatica” squadra emiliana? Mah. Se non altro perché non ho mai visto una squadra in lotta per la salvezza ricevere, nelle ultime due giornate, tre rigori a favore e tre espulsioni pesanti fra gli avversari. Ma il calcio è anche fatto di numeri, e si salva un Palermo più fortunato che buono.
Finita. Game over, fancuore l’ennesima stagione senza soddisfazioni né qualità.
E mi ero ripromesso di guardare spassionatamente l’ultima gara di tre giocatori, tre tenori, tre eccellenti professionisti.
Invece no.
Questo calcio mi fa ribrezzo. Il calcio dei paracadute, delle rose da venticinque, di tre partite alla volta.
Il calcio dei nomi sulla maglia, dei capi tecnici, delle diagonali esasperate, di tailandesi e cinesi attesi messianicamente con i loro soldi del cavolo.
Totò, piede piccolo e cuore grande, tecnicamente secondo solo a Zico, tra quelli visti sotto l’arco del Friuli con i colori sacri biacca e carbone; Maurizio e Giovanni, difensori dal gran coraggio e responsabili di alcune delle più belle soddisfazioni, per noi; questi giocatori, ormai persi, sono parte del mio calcio. Di quello col quale Vi annoio da quattr’anni e forse cinque. Quello dei quattro maglioni come pali, della palla Supertele, del gol in più degli avversari, del chi segna il prossimo vince.
Lacrime. Pensando che ciò che costoro lasciano sono, allo stato attuale delle cose, un cumulo di macerie.
L’Udinese chiude quart’ultima, un punto sopra il Carpi retrocesso. Un punticino, quello che si sono regalati con i nerazzurri di Bergamo.
Penso che cavarsela con due fette di pizza, una birretta e magari la riconferma per gente come Adnan o Fernandes, mezzi giocatori se non di meno; o come Danilo, uno che da due anni gioca in bianconero con la sopportazione annojata dei bevitori d’assenzio, ma senza la necessaria genialità; tutto questo sarebbe sottovalutare le nostre pur ridotte capacità mentali.
Adesso, ai tifosi ed a chi canta questi colori come me, Pozzo (padre, o figlio, o moglie santa poca differenza fa) deve dimostrare che quest’anno, e lo scorso, e quello prima sono stati solo piccoli errori, incidenti di percorso. Come giocare ad Highbury con Neuton ed Ekstrand. Come rimpiazzare Handanovic con Brkic e Kelava.
Via. Via. Via tutti.
Stasera avrebbero dovuto mostrare, tutti, dimostrare la propria appartenenza, esattamente come Totò, Maurizio e Giovanni, onorando la “festa” con una partitona. La quale, evidentemente, non sono in grado di disputare, ne oggi ne mai.
Nessuno dei giocatori sono lì, adesso che l’orologio batte le undici e mezza, in ginocchio davanti a colui il quale ha mascherato troppo spesso i loro limiti, enormi, di tecnica ma soprattutto d’etica, d’epica, di pathòs ed in particolare quelli morali.
Io sono un privilegiato: con mio papà ho visto giocare Giacomini e Galeone; e poi l’arancia meccanica di Jàcum che dominava l’Italia; e Causio seppellire il Milan di Radice, e ovviamente Zico. Ho visto Zaccheroni creare un orologio più preciso di quello atomico custodito a Torino, con la trimurti Olli-Paolo-Marcio. E ho visto Spalletti masticare impropéri ed avversari, per la prima qualificazione Champions.
Ho visto Guidolin, prima mandare la Juventus all’intertoto e poi guidare la coppia più tecnica mai vista a Udine, Totò e Alexis. Sì, ho visto Totò.
Per questo, per quarantaquattro anni di storia biancanera nelle pieghe più recòndite di memoria e cuore, chiedo a Pozzo di rendersi conto che la targhetta omaggiata stasera a Di Natale, i fiori alla signora Ylenia e qualche pacca sulle spalle di Pasquale e Domizzi aprono le porte ad un futuro che loro, e solo loro debbono dipingere.
Lo stadio, anzi l’Arena come la chiamano loro, è ancora piena. Dopo un’ora dalla fine della gara: il pubblico è stato il migliore in campo per tutto l’anno. Non voglio nemmeno pensare che la dirigenza ritenga quanto fatto nell’ultimo triennio congruo con una tifoseria del genere. Il problema, per loro, è che qui manca tutto, tutto: una primavera mediocre, pochi contatti sul territorio, e i giovani scovati in giro per il mondo destinati in via preventiva a Londra.
Il campionato a venti squadre dà all’Udinese un bonus sostanzioso, ma non infinito: quest’anno Vi è andata bene, soprattutto per l’ignavia mostrata non cacciando l’Anziate, protagonista di una conduzione dello spogliatoio da codice penale e il rischio corso e svanito solo a novanta minuti dalla fine.
L’anno prossimo però non sarà così: siete nudi. Non c’è Totò che copre le magagne a suon di magìe; mancherà un’ossatura italiana dello spogliatoio. Siete bravi, me lo dicono tutti. Ma come chiosano spesso negli amatissimi (da me) U.S.A, non mi dite che ci amate, dimostratecelo.