In una società come quella attuale, basata perlopiù sull’apparenza e sull’esteriorità, a coloro che come me hanno qualche piccolo o grande “difetto di fabbrica” viene quasi naturale pensare di avere un destino già segnato, che li costringerà a vivere per sempre ai margini; così finisce che alcuni, quasi a non voler smentire questa convinzione (o forse proprio nel tentativo di ribellarsi ad essa), si gettano a capofitto in esperienze estreme, nell’illusione che il gusto del proibito riesca a cancellare almeno in parte l’amarezza lasciata dalla rabbia nei confronti di un destino avverso.
Questo modus vivendi, che oggi purtroppo accomuna molti giovani (non soltanto quelli affetti da problemi fisici), ha radici lontane nel tempo, infatti non si discosta poi molto da quello proprio della “Beat Generation”, un movimento di contestazione giovanile che si sviluppò negli Stati Uniti a partire dagli Anni Cinquanta e che in Italia prese piede un decennio più tardi; gli esponenti di questo movimento (conosciuti anche come “hippies”, “figli dei fiori” o “capelloni”) erano musicisti, scrittori o poeti che, pur nel nome di ideali positivi quali l’amore, la pace e la fratellanza, non esitavano a spingersi all’eccesso e ad usare ogni mezzo possibile, inclusa la violenza, per contrapporsi al sistema sociale vigente e tentare di scardinarne le regole.
Durante il periodo del Beat, nel nostro Paese si formarono moltissimi gruppi musicali che poi sarebbero passati alla storia (come ad esempio l’Equipe 84, I Corvi, i Dik Dik e I Camaleonti), ma anche numerosi cantanti solisti, tra i più famosi ricordiamo Gian Pieretti, Patty Pravo e Caterina Caselli. Accanto a questi nomi importanti, ve ne sono però anche altri, indubbiamente meno noti ma certo non meno talentuosi e impazienti di gridare al mondo la propria rabbia e insofferenza nei riguardi della società in cui vivono: uno di essi è il novarese Roberto Bignoli, classe 1956.
Roberto, nato in una famiglia dalle condizioni economiche precarie e poliomielitico dall’età di un anno, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in vari ospedali e collegi del Piemonte e della Lombardia, portando quotidianamente il peso della solitudine e avvertendo un profondo vuoto interiore, causato dalla mancanza d’affetto e di calore umano. A quindici anni, uscito definitivamente dall’istituto, inizia a guardarsi attorno e a farsi degli amici; grazie alla sua passione per la musica e alla “Beat Generation” (i cui ideali diventano per lui un modello di vita), smette finalmente di sentirsi diverso: in questo mondo senza regole, dove tutto ciò che rompe gli schemi è ben accetto, la sua condizione fisica sembra non rappresentare un problema, per essere accolti nel branco è sufficiente avere voglia di trasgredire. Così Roberto conosce l’alcool e le droghe e si dedica per qualche tempo alla militanza politica attiva (sia pur poco convinta), arrivando addirittura a toccare con mano la realtà del carcere, sebbene per soli ventiquattro giorni; ad un certo punto, ormai ventenne, capisce che sta percorrendo la cosiddetta “cattiva strada” e decide di provare a riscattarsi seriamente, usando la musica per rimettersi in gioco.
In un primo periodo il suo talento gli permette di prendersi delle belle soddisfazioni, partecipando a diversi festival di musica leggera e facendo da “spalla” ad alcuni “Big” del panorama musicale italiano, tra i quali Roberto Vecchioni, Sergio Endrigo e Loredana Bertè; inoltre, alcune sue produzioni ottengono un buon successo, venendo trasmesse anche su emittenti televisive private, per esempio sulla neonata Canale 5. Tutto sembra andare per il meglio, ma la verità è che la carriera di Roberto non riesce a decollare: la stoffa del cantautore c’è ma l’immagine, sebbene nessuno lo ammetta apertamente, rimane quella di un disabile che per muoversi è costretto ad usare le stampelle.
Ecco allora che ritornano il buio, il senso di smarrimento e fallimento, la frustrazione derivante dalla consapevolezza di non poter sfuggire alla propria condizione… E poi, un bel giorno del 1984, una frase pronunciata da un gruppo di ammiratori: “Gesù ti ama!”. Questa ha tutta l’aria di essere una provocazione, alla quale in prima battuta Roberto reagisce con una risata incredula; poi però, la curiosità prende il sopravvento e il giovane cantautore decide che forse vale la pena scoprire se dietro a queste tre semplici parole non si celi una verità più profonda. Così inizia a conoscere e frequentare questi ragazzi, appartenenti al movimento carismatico del Rinnovamento nello Spirito, che nell’agosto dello stesso anno lo invitano a seguirli in un pellegrinaggio a Medjugorje, nell’attuale Bosnia – Erzegovina.
Durante il suo soggiorno in quella località, Roberto non rimane folgorato da particolari visioni o apparizioni, eppure si tratta di un’esperienza che lo segna profondamente e gli fa capire che è giunto il momento di dare una svolta radicale alla propria vita. Dopo l’incontro con la Vergine Maria e con Gesù, suggellato proprio a Medjugorje, il cantautore sente il desiderio di usare la sua chitarra e la sua voce (che nella timbrica ricorda quella di Fabrizio De Andrè, da lui molto apprezzato) per raccontare il grande dono che ha ricevuto, quello della fede; così, pur senza staccarsi dalle sonorità del pop, del rock e del blues, inizia a scrivere testi di ispirazione religiosa e a comporre musica più evangelica, diventando un “menestrello di Dio”.
In realtà, già nel 1983 (quindi prima del pellegrinaggio a Medjugorje) Roberto si era avvicinato alla musica cristiana contemporanea, o christian music, con il brano “Oltre la collina”, dai contenuti quasi profetici, annunciatori del cambiamento che di lì a poco lo avrebbe scosso nell’intimo rendendolo un uomo nuovo. Tuttavia, il battesimo del fuoco avviene quattro anni più tardi, nel 1987, con l’uscita di “Canzone per Maria”, il suo primo 45 giri ascrivibile a questo genere musicale; il disco contiene i brani “Regina della pace” e “Divina Madre”, che possono essere considerati le primizie della sua nuova produzione.
Oggi, a quasi trent’anni di distanza, Roberto Bignoli è un affermato esponente della christian music e le sue canzoni (per le quali continua ad ottenere numerosi riconoscimenti sia in Italia che all’estero) sono per lui compagne di vita, esattamente come le sue stampelle; egli si serve sia delle une che delle altre per far sì che la sua testimonianza concreta di vita e di fede riesca a raggiungere quante più persone possibile, con particolare riguardo ai giovani, ai disabili e a coloro che vivono in condizioni di disagio sociale, qualunque esso sia.
Che si esibisca nelle parrocchie, nelle carceri o nelle piazze, che partecipi ai meeting dei vari movimenti di stampo cattolico o ai festival di musica cristiana, il messaggio che spera di trasmettere con la sua musica e i suoi testi, ma soprattutto con la sua presenza tra la gente, è sempre lo stesso: non bisogna mai arrendersi e lasciarsi abbattere dalla situazione contingente in cui ci si trova, per quanto drammatica essa sia; infatti, se abbiamo il coraggio di guardare oltre il buio, scopriremo che all’orizzonte c’è sempre una seconda possibilità, una Luce di speranza capace di trasformare la nostra disgrazia in una grazia.
È superfluo dire che per Roberto questa non è retorica, ma vita vissuta. Fin dalla più tenera età ha conosciuto la solitudine e il vuoto interiore; in gioventù ha cercato conforto nell’illusione effimera dello sballo, finendo per sprofondare ulteriormente nell’oscurità; quando poi, alla soglia dei trent’anni, ha provato ad uscire dal tunnel e rientrare in pista, ha dovuto sopportare il peso dell’emarginazione. Il suo destino pareva segnato, eppure lui in cuor suo intuiva l’esistenza di una seconda chance, forse gli mancava soltanto il coraggio di cercarla… Ecco allora quell’incontro fortuito e provvidenziale, cui è seguita la scoperta della fede e, con essa, del vero senso della vita.
Tutto questo è raccontato nel libro “ Il mio cuore canta – Medjugorje e la musica di Dio” (Edizioni Piemme, 2014), scritto a quattro mani con il giornalista e blogger Andrea Pagnini, mentre per saperne di più riguardo alla carriera e ai successi professionali di Roberto è possibile consultare il suo sito ufficiale, che tra l’altro riporta anche tutta la sua discografia.
Come suggeriscono gli spazi vuoti presenti in varie sezioni del sito, creati appositamente per essere riempiti di nuovi contenuti, la produzione artistica del christian rocker novarese è tutt’altro che terminata ed egli non ha alcuna intenzione di appendere la chitarra al chiodo, infatti quando gli viene chiesto quali siano i suoi progetti per il futuro risponde che attualmente sta lavorando a un nuovo disco insieme all’amico musicista Mario Ferrara, il quale, oltre ad essere stato l’arrangiatore di molte sue canzoni e ad avergli dato più volte modo di collaborare con professionisti di alto livello, gli ha anche fatto incontrare la rock band emiliana “Nuova Civiltà”, che tutt’ora lo segue negli eventi più grandi, in particolare nei concerti di piazza.
Aspettando l’uscita del nuovo disco, prevista per il 2017, ci auguriamo che le stampelle di Roberto Bignoli possano sorreggerlo ancora a lungo nel suo cammino sulle strade del mondo, permettendogli di continuare a diffondere la buona novella attraverso la sua musica, nonché di condividere il grande dono della fede con il maggior numero di persone possibile, soprattutto con coloro che ogni giorno inciampano negli ostacoli della vita e non trovano nessuno disposto ad offrirgli una stampella che li aiuti a rialzarsi.