Sgombriamo il campo da dubbi: il divario giusto erano i 14 punti di distacco raggiunti a inizio terzo quarto. Forlì è rientrata con un numero scandaloso di triple di Vico, grandissimo tiratore ma pessimo giocatore di squadra, cui i compagni si affidano nei primi tre quarti nei quali non riesce minimamente ad incidere.
E quattordici o più sarebbero stati i punti se i due soliti signori in grigio, dopo un inizio perfetto con una direzione stile NBA, non avessero subìto l’ingresso a muso duro di Garelli, coach non certo indimenticabile a Udine (2011) e del suo esagitatissimo vice (ma un tecnico si dà mai?), gravando da lì innanzi tutti i bianchineri di una tale mole di falli (molti totalmente fuori registro) da impedire nel secondo tempo una difesa al pari di quella dei periodi precedenti. Due pietosissimi signori, uno apparentemente quindicenne l’altro fintamente duro, cui va il merito di avere fischiato un antisportivo (solare) a cinque secondi dalla fine, con dieci forlivesi che li assalivano protestando.
Forlì. Squadra dura, ma nettamente inferiore: anche a Bergamo e all’Orceana. Nel quarto finale hanno avuto la forza di risalire due volte, da -14 e poi da -6 con due triple, ma sempre e solo con la forza dei nervi e mai giocando una pallacanestro guardabile. Lo schema palla-a-Vico e speriamo che segni è una pallacanestro che potrei insegnare anch’io. Quindi…
Quindi no. Non provo nessuna stima per Luigi Garelli, mestierante onesto ma dimenticabile, molto buono a Vigevano ma stasera compartecipe del nervosismo biancorosso. Una squadra che a 4’’ dalla fine e sotto di tre punti non commette fallo per fermare il cronometro è cervellotica, e la causa sta nella testa.
Nè stimo i tifosi di Forlì che hanno cercato di aggredire la panca biancanera quando Porta, con una tripel da casa sua, e con il classico gesto del dito sulle labbra zittiva i mille supporter avversari; i quali, per altro, scordavano che dal 1983 all’87 Lino Lardo, coach bianconero, comandava il gioco della (mi pare) JollyColombani e lo fischiavano mentre si avvicinava alla loro curva per un saluto, facendolo recedere dall’intenzione. Bye bye, domani replicate.
Udine ha dominato la stagione, vincendola tre volte; battendo avversari , gufi, sé stessa quando ad un certo punto della serie finale si era intristita su difesa meno attenta ed attacco sterile; salvo andarsela a prendere a Bergamo. Da domenica scorsa a stasera, solo punti esclamativi. L’ultimo contro l’Unieuro, apparsa “meno” della GSA in tutto.
Udine ha vinto perché è stata squadra, talmente squadra da “convincere” un signor playmaker come Marchetti a starsene in tribuna come undicesimo effettivo; talmente squadra da chiudersi in sé stessa e recuperare una serie apparentemente persa; talmente squadra, stasera, da sopravvivere alle due triple di Vico e Ferri che impattavano a 23’’ dalla fine, reagendo anzi, e chiudendo alla grande con la promozione.
Udine, come Trieste e soprattutto Gorizia (un caro amico mi confessava, ieri sera, che oggi esiste una miriade di piccole società ma la rinascita dell’UGG è ormai un miraggio lontano), appartiene alla serieA della pallalcesto nostrana. Posso provare anche ammirazione per Borgomanero, Scafati, Barcellona e squadre simili che periodicamente salgono di categoria: ma iniziavo a veder basket che Melilla, Melillo e gente simile giocava al Carnera, contro Xerox Milano, contro le due Bologna, le scarpette rosse che con Varese e Cantù costituivano la trimurti lombarda. E i derby con i giuliani e gli isontini, Ritossa e Biaggi, Laing e Laurel, Sfiligoi Ardessi e Tonut. E un giovanissimo Roberto Premier in maglia Pagnossin, assieme al baffutissimo Garrett.
Ma stasera non è tempo di ricordi: stasera si fa festa, si beve vino buono perché Udine torna nel mondo dei grandi. E per pensare a costruire la squadra per la prossima stagione ci sarà ben tempo da domani in poi. Qualcuno resterà, altri arriveranno e alcuni saluteranno: ma questi ragazzi stanimali (e qui mi capirà chi segue il tennis) oggi hanno mostrato quanto tenessero a portare il pubblico friulano nella massima serie.
Tre sole pillole.
La prima per i friulani al seguito: i trecento stavolta non hanno trovato le Termopili ma una bellissima serata, coronata dal bersaglio grosso centrato non senza fatica né senza merito. Vocalmente superiori ai mille rossi romagnoli che domani di certo vinceranno contro Montegranaro raggiungendo anch’essi la promozione (…)
La seconda, per il commento tecnico offerto dalla trasmissione della Lega: due toscani: la prima voce ricordava Cristiano Militello (striscia lo striscione), senza il di questi umorismo né una benché minima infarinatura di basket. Quaranta minuti a parlare di Sebastiàn Vico, prima perché sbagliava, poi perché segnava.
Commento tecnico affidato a Andrea Niccolai: telespalla Bob di Mario Boni, buon agonista e discreto tiratore, ma dotato di loquela pari a quella di un primate di fascia media. Niente di personale, ma se mi si chiedesse su due piedi di risolvere il paradosso di Gibbs io mi troverei nella condizione del povero Niccolai, incapace di articolare frasi minimamente connesse con una qualche attinenza tecnica. D’altra parte in audio la lavagnetta non si può usare per cui risultato infelice. Max Fontanini, mai tanto rimpianto.
Ultima pillola per la delegazione della Curva di Trieste accorsa a fianco dei romagnoli per sostenere la loro vittoria contro gli odiati furlani: esito infausto. Mi fanno perfin pena: non solo non combinano di loro, riescono a perdere anche per conto terzi. Ci vediamo l’anno prossimo. Anche con l’amico oggi temporaneamente in Toscana, cui di sottecchi via messaggi ho trasmesso il pathos di una gara indimenticabile: Boss, il prossimo anno tutti al Carnera.