Ci sono giornate in cui mi sento particolarmente sollevato che il cuore mio tenga a dei colori tutto sommato estranei alla schizofrenia pallonaria degli ultimi anni.
Penso in particolare ai supporter nerazzurri, in primis all’amico e collega Gian Luca Rossi: dopo le vittorie morattiane, dopo l’interregno del Presidente del CIO indonesiano, uno che tutto sommato dall’affare-Inter ci ha guadagnato, ecco il gruppo Suning, che sbarca in Europa con un preciso intento, economico più che sportivo.
Risultato? A due settimane dall’inizio del campionato, in piena campagna acquisti e preparazione, trattano con Mancini, anzi ManCiaone, un rinnovo farlocco mentre spediscono Ausilio in missione per acquisire DeBoer, allenatore tulipano reduce da una stagione nella quale è riuscito nell’impresa di perdere, all’ultima giornata, uno scudetto già vinto in un campionato mediamente competitivo come quello neerlandese. Mancio non mi è simpatico, ha fatto malino l’anno passato ma queste decisioni andavano prese in altro momento. E bene ha fatto a negoziare una buonuscita.
E i Lossoneli? Anche loro acquisiti da un gruppo cinese, faranno acquisti basati sulle promesse ed i pagherò, dato che i miliardi arriveranno da marzo 2017 in poi. Come si faceva da ragazzi, “intanto paga tu, Silvio, poi facciamo i conti”. Auguri.
Quindi?
Quindi l’Udinese, e lo sostengo da tempo, a prescindere dai moduli tattici, 3-4-2-1 o 3-4-1-2 o 5-5-5, cose di cui lascio parlare più attrezzati colleghi, vive da sempre, ed in particolare ora, aliena da queste schizofrenie: pietra miliare l’acquisizione di Nereo Bonato. Costui, sinora, più che nella firma di campioni si è impegnato ad accompagnare all’uscita, senza pacca sulla spalla, la plétora di ciabattanti che hanno mostrato medie capacità in campo ma abili a sollevare turille nell’ambito dello spogliatoio; stessa sorte per coloro i quali non sposano un progetto tecnico il quale, bello o brutto che sia, sottende alle idee di Iachini in tutto e per tutto. In particolare per alcuni pieds-de bois.
Bonato non sconvolge le gerarchie e i dettami della “proprietà”, ma di certo non subisce a capo chino imposizione alcuna.
Adesso, però, qui si parrà la tua nobilitate e la società dovrà continuare, senza paura, a perseguire un disegno di ringiovanimento in nome della qualità della squadra, ma soprattutto dei singoli interpreti: Kuba Jankto deve giocarsi il posto con un Armero che pare tornato almeno vicino parente del laterale del 2010, e se ragioni politiche spingono per mantenere in portafoglio l’avvenente modello iracheno, Dio non voglia che ciò comporti il sacrificio del nuovo Jankulovski. E ci vuole coraggio a lanciare presto il talento vinotinto, il predestinato di Sarandì, a convincere Imma Badu che questa è casa sua.
I veterani servono, eccome!, in una squadra come la “nostra”: ma codesti debbono rappresentare la storia, la tradizione, la filosofia dei colori che difendono. Felipe, Angella (nonostante l’ancor giovane età anagrafica), il Larangeiro se si convincerà che giocare a Udine non è una punizione ma la sua migliore dimensione, devono essere deputati a permettere un graduale e funzionale inserimento dei nuovi.
Probabilmente con questo direttore sportivo e questo allenatore, nulla togliendo al predecessore, la stessa gestione del destino di Giampiero Pinzi sarebbe stata del tutto diversa.
L’Udinese, poi, almeno a grandi linee, è assolutamente estranea al nuovo modo di gestire il calcio: ormai nelle sedi sociali val più la presenza dei procuratori-top che quella di dirigenti-punto-di-riferimento. Mino Raiola ha recentemente sostenuto che il Milan l’avrebbe voluto acquistare lui, con dei fondi sodali; dalla parte opposta il fondo Doyen conta sempre di più, e mi dicono il bravo Ausilio sia in uscita; al Porto (e non solo) gli affari li gestisce il potentissimo Jorge Mendes e la sua Gestifute: forse non a caso i Dragṍes non vincono un campionato da tre stagioni, e nonostante affari d’oro fanno fatica ad allestire formazioni in grado di rinverdire i fasti del recente passato.
È il calcio-business, baby, lo so: e so che non ci si può far nulla. Ciò che invece pare possibile, a queste latitudini, è risalire la china per ritornare a ridosso delle posizioni che contano, ad oggi appannaggio delle “cinque sorelle”. Un campionato spalla-a-spalla con Lazio, Viola e Torino non è utopìa, né mi pare superiore un Sassuolo che, inevitabilmente, pagherà gli sforzi europei. Detto che, in tutta franchezza, mi basterebbe solo giocassero al calcio. Senza insultare più il pubblico pagante (9500 abbonati dopo la stagione appena trascorsa sono un segnale fortissimo, altroché!), né coloro i quali sono moralmente o professionalmente obbligati a commentarli; soprattutto non offendendo la volubile e capricciosa Eupalla, dea che va stuzzicata moderatamente. E tre stagioni devastanti sono state decisamente troppo: è ora di rimettersi a correre.