Sgombriamo il campo da dubbi e incertezze: chi si dopa trucca, imbroglia e merita biasimo, multe e squalifiche.
Però?
Però chi sbaglia paghi, ma non in eterno; esistono squalifiche pesanti, sanzioni correttamente punitive ma quando la legge diventa draconiana, mi permetto di considerarla accanimento e non più norma.
Specie se la legge non è uguale per tutti.
Esatto: mi riferisco all’affaire Schwazer. Quattro anni fa cercò di abbreviare la sofferenza utilizzando la via endovenosa, anziché quella lastricata di sangue sudore e lacrime; confessò, fu squalificato e pagò.
Dopo quattro anni, sotto la guida di Sandro Donati, si sarebbe dovuto ripresentare alle Olimpiadi, appuntamento bucato a Londra per colpe solo sue, e visti i tempi recentemente ottenuti avrebbe vinto a mani basse 20 e 50 chilometri, per manifesta mancanza di rivali. Invece il primo gennaio 2016 veniva testato (saranno 26 i test a sorpresa effettuati nel corso degli ultimi due anni) e trovato, dicono, positivo per tracce di un metabolita che ricondurrebbe ad assunzione di ormoni d’origine esogena.
Ricorre al TAS, l’arbitrato internazionale, che non trova di meglio che ritardare l’audizione sino alle Olimpiadi; la IAAF di Sebastian Coe propone otto anni di squalifica, prontamente (invero dopo due giorni di camera di consiglio) accettati dal Tribunale.
È una situazione al limite del ridicolo, non rivestisse tinte drammatiche. Di questo si sa poco, quel che trapela e soprattutto sensazioni; sensazioni, e un brivido da grande fratello sportivo.
Perché tutto è paradossale, in questa vicenda.
Karolina Kostner che vede amputata la sua carriera, squalificata per non aver denunciato.
Un test a sorpresa effettuato in una data nella quale sarebbe stato impossibile custodire le provette in luogo sicuro, data la chiusura del laboratorio deputato alle analisi.
Venticinque test negativi, ed uno solo, nel mezzo, positivo: in un periodo nel quale solo un cerebroleso si sarebbe bombato, conoscendo la frequenza dei controlli e soprattutto l’importanza dell’ultimo colpo a disposizione.
L’amara sensazione che si sia voluto colpire Sandro Donati e non Schwazer, considerando l’altoatesino un utile idiota, detto senza offesa alcuna.
E nel frattempo nuotatori cinesi i quali, usando un paradosso espresso da un collega, are peeing purple e trionfano; atleti russi, inclusi nel report McLaren sul doping di stato in Russia, ammessi a macchia di leopardo senza una ragione diversa dall’umore dei dirigenti e, probabilmente, da amicizie e rapporti personali.
Soprattutto, parlando dell’ineffabile Coe, buon mezzofondista ma discutibile dirigente IAAF, occhi chiusi sul fatto che nella velocità su pista dell’atletica l’unico avversario di Bolt sarà un newyorchese di trentaquattr’anni, beccato due volte dopato (due pene miracolosamente ed inspiegabilmente dimezzate), e scampato una terza per irregolarità nel prelievo; Ben Johnson era un chierichetto del divinamore, al confronto.
A me tutto questo fa schifo; già stavo guarducchiando con distacco e poca partecipazione delle Olimpiadi che accendono i riflettori sul samba e li spengono sulle favelas rase al suolo, sulle manifestazioni di piazza sedate a colpi d’arma da fuoco, sulla netta sensazione che al termine dei giochi più tristi dell’epoca moderna quel che rimarrà saranno solo e solamente macerie, sociali ed economiche. Adesso spegnerò la tele, definitivamente.
Sandro Donati da tempo circostanziando accusa, facendo nomi e cognomi: squalifica casuale? Da tempo i suoi libri di storia dell’atletica, nel bene e nel male, sono introvabili: squalifica casuale? Colpirne uno, per educarne cento: squalifica casuale?
Ho ascoltato oggi alla radio l’intervento del roseo giornalista che per primo annunciò la positività di Schwazer; il collega, piangiucchiando un mantrico “avrei voluto vedere Alex gareggiare”, si poneva a baluardo del giudizio del TAS, col tono di Alberto Sordi che di fronte all’archivista-capo Totò esclama “senzantro bocciato… senzantro bocciato”. Il sapore? La tutela della bontà del proprio scoop. A conforto del quale, parlando di realtà (la sua) ed illazioni (degli innocentisti come me), rispolverava Caster Semenya, vittima a suo dire di “razzismo e sessismo”. Lui del(la) Semenya è amico, dice.
Inciso: Caster Semenya è stata “verificata” quattro anni fa, ed in base alle norme (quelle difese dal roseo), essendo un caso di criptoermafroditismo (sesso femminile all’esterno, ma gonadi maschili al posto delle ovaie), è stata costretta ad una cura per l’inibizione del testosterone endogeno. Risultato? Dieci secondi persi sugli 800 metri, la sua gara.
Oggi che questa norma è decaduta, sospese le cure la Semenya tornerà a vincere come prima: non barando, ma in virtù di caratteri più prossimi al maschio che alla femmina. E sarà giusto così.
Ma è storia: Schwazer torna a casa. Spero che Donati non molli, siamo tutti al suo fianco perché prima o poi questo penosissimo vaso di Pandora che mescola CIO, IAAF, corruzione, scambi politici, favori e voti esploda e lo sport si affranchi dalla politica. Quella che ha squalificato il Comitato Olimpico kuwaitiano, ma ammette con sorrisi e strette di mano Turchia, Russia, Cina e compagnia cantante. Senza il minimo imbarazzo.
Verrebbe quasi la voglia di chiedere una follìa: la liberalizzazione del doping. Si droghino come cavalli e cosi sia. Non sarebbe giusto, per il ruolo educativo che lo sport deve ricoprire: ma che i dirigenti di quasi tutte le pratiche sportive disattendono regolarmente, vittime di ambizione personale e gretta avidità.
In cauda venenum: la dichiarazione più squallida è quella che ANSA (non il gazzettino di Monteciufolo) attribuisce al signor Tamberi, di professione (buon) saltatore in alto. Catone nei tempi moderni, avrebbe sostenuto le ragioni della Wada (organismo internazionale antidoping) con toni duri e intransigenti. Oggi ha ritrattato, ma l’ANSA conferma in toto la dichiarazione del marchigiano.
Sono umanamente vicino a questo atleta, dato l’infortunio che lo ha privato di una medaglia olimpica quasi certa, ma da vecchio cantore di sport una cosa gli suggerisco: si guardi da chi, in seno alle federazioni, oggi lo guarda con simpatia per la barba rasata a metà, per il mimare sport diversi dopo ogni salto riuscito, per il suo essere amico di tutti. Quando tutto ciò arriverà a noia, quando qualcuno “lassù”, dopo aver dichiarato “lavoriamo per riammettere la Federazione Russa” come se il loro sistematico doping fosse stato un incidente, si sarà stancato, non vorrei dover leggere il roseo di cui sopra uscirsene con un “proprio lui, censore del doping, beccato…”. perché le goccioline nelle provette, oppure quelle che spariscono, sono un giochetto che sembra piacere a molti. Forse a troppi.
A noi no. Hashtag iostocondonati. Nella speranza che Schwazer elabori il lutto sportivo.