Lo scorso mese di novembre, pubblicando l’articolo Omar, uno chef da favola, ho voluto prendere i miei lettori e le mie lettrici per la gola, stuzzicando forse il loro appetito e la loro curiosità di assaggiare i piatti proposti dal protagonista del pezzo; probabilmente però, non tutti i lettori e le lettrici di “A ruota libera” sono in grado di gustare simili prelibatezze, non tanto perché la crisi economica imperversa e rende difficile concedersi certi lussi, quanto piuttosto perché le loro condizioni fisiche e le patologie dalle quali sono affetti gli impediscono di alimentarsi normalmente e di sentire i sapori.
Mi scuso con questa particolare categoria di lettori e lettrici per aver pensato a loro soltanto in seconda battuta, tuttavia spero di riuscire a farmi perdonare presentandovi Paolo, un diciannovenne di Oristano che già da qualche mese ha gettato i ferri in acqua per realizzare un progetto speciale, mirato a ridare il senso del gusto a chi l’ha perso.
Ma partiamo dall’inizio. Paolo Palumbo è un ragazzo che cresce tra i fornelli, dal momento che papà Marco è proprietario di ristoranti a Porto Cervo (SS) e a Bucarest, in Romania; la sua passione per la cucina si manifesta sin dai dieci – undici anni e viene subito assecondata: dopo alcune estati passate a lavorare al fianco del padre, Paolo frequenta diversi corsi di perfezionamento, che non fanno altro che accrescere il suo desiderio di seguire le orme paterne.
Siamo a giugno 2015 quando il nostro aspirante cuoco si appresta a sostenere i test per entrare all’ ALMA – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana diretta da Gualtiero Marchesi; un diploma conseguito in quella prestigiosa accademia sarebbe un ottimo lasciapassare per il coronamento di un sogno, ma si sa, il destino è sempre in agguato, così per Paolo il sogno diventa un incubo ancor prima di chiudere gli occhi…
In breve tempo il suo braccio destro perde il 50% della forza, per lui compiere semplici azioni come abbottonarsi la camicia o allacciarsi le scarpe risulta sempre più difficile, di cucinare non se ne parla neanche; i primi esami, tra i quali un’elettromiografia, sembrano evidenziare problemi al plesso brachiale, risolvibili soltanto con un delicato intervento chirurgico. Quindi il ricovero in un ospedale di Bologna, l’operazione, la convalescenza e la fisioterapia per tentare di recuperare le funzionalità perdute; l’impegno è massimo, eppure i progressi non si vedono, anzi, la situazione peggiora ulteriormente, interessando anche l’altro braccio.
Come se non bastasse, dopo qualche giorno papà Marco si accorge che Paolo barcolla, manco fosse ubriaco! Così decide di sottoporlo a una visita neurologica presso l’ospedale “San Francesco” di Nuoro; il quadro clinico appare subito molto serio, ma per una diagnosi più precisa occorrono altri esami, che rendono necessario un ricovero. Finalmente, il 28 agosto 2016, arriva il responso: Paolo è il più giovane italiano malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), con compromissione di entrambi i motoneuroni, bulbare e spinale; ciò significa che in un prossimo futuro perderà l’uso di tutti gli arti, non sarà più in grado di parlare, di deglutire e di respirare autonomamente.
Per un ragazzo di diciannove anni questa è una prospettiva a dir poco terribile, un destino dal quale i familiari vorrebbero proteggerlo a ogni costo; ecco perché in un primo momento scelgono di non dirgli nulla; a parlare ci pensa però una cartella clinica incustodita, lasciata inavvertitamente alla sua portata. Così, la sentenza di condanna gli appare davanti agli occhi nero su bianco, senza filtri e senza possibilità di appello.
Ora Paolo conosce il suo nemico, lo teme, ma non si arrende! Anzi, è più determinato che mai a sconfiggerlo o, nel peggiore dei casi, a perdere con onore. Con questo spirito, a settembre dello scorso anno si ricovera al Centro Clinico Nemo di Milano, dove si sottopone a ulteriori esami e inizia le prime terapie finalizzate a rallentare il decorso della malattia. Durante la degenza, i medici e gli infermieri del centro cercano di tenerlo lontano dagli altri pazienti malati di SLA, nell’intento di ritardare quanto più possibile il suo incontro con il futuro; ma si sa, un ragazzo di diciannove anni ha l’argento vivo addosso e prende la vita a morsi, tenerlo fermo è pressoché impossibile.
Così un giorno, girando per il reparto, Paolo conosce Antonio, un quarantaquattrenne che da anni combatte la sua stessa battaglia, ormai è allettato e comunica solo con gli occhi; immediatamente tra i due nasce un’intesa e la conversazione procede spontaneamente, tanto che Paolo trova il coraggio di chiedere al suo nuovo amico che cosa gli manca di più della sua vita precedente, quella senza SLA. Tramite il comunicatore la risposta arriva chiara: Antonio oggi è ridotto a un vegetale, quindi praticamente gli manca tutto, ma sicuramente ciò che più gli dispiace è il fatto di non poter sentire i sapori, in quanto già da tempo si alimenta artificialmente, grazie alla tecnica della gastrostomia endoscopica percutanea (PEG).
Nell’udire questa risposta, Paolo, che non rinuncerebbe mai al piacere della buona cucina, ha un’idea: perché non adattare alcune semplici ricette (quali ad esempio le lasagne o il tiramisù) alle esigenze di coloro che purtroppo non possono più assumere i cibi per bocca, in particolare dei malati di SLA? Con l’aiuto degli specialisti del Centro Clinico Nemo, il ragazzo inizia a documentarsi su quale sia la dieta più indicata da seguire per queste persone e si avvicina anche alla cucina molecolare.
Così nasce il progetto “Sapori a colori” ancora in fase di realizzazione: esso consiste innanzitutto nella pubblicazione, prevista per il prossimo 20 febbraio, di un libro di ricette omogeneizzate che portano la firma di Paolo e sono eseguite materialmente dallo chef Luigi Pomata; tutti i fondi ricavati dalla vendita di quest’originale ricettario, edito da Arkadia, saranno destinati alla ricerca sulla SLA, ecco perché sarebbe molto importante prendere d’assalto le librerie di tutta Italia! In un secondo momento verrà depositato un brevetto, per ora rigorosamente top secret, attraverso il quale sarà possibile assaporare gli alimenti senza bisogno di ingerirli, così anche chi è costretto a nutrirsi tramite la PEG potrà avere il piacere di “gustare” i suoi cibi preferiti.
Attualmente il progetto è appena partito, eppure Paolo è già diventato l’idolo dei suoi “compagni di sventura” e dei loro familiari, che spesso lo contattano per chiedergli informazioni e consigli, o semplicemente per ricevere qualche parola di conforto e incoraggiamento; molte sono le attestazioni di stima che gli vengono tributate per questa sua idea geniale, che senza dubbio rappresenta anche un atto d’amore e generosità nei confronti di coloro che hanno iniziato a lottare contro la malattia prima di lui.
Neppure il mondo dei (social) media è rimasto indifferente: in questi mesi le interviste rilasciate da Paolo e dai suoi familiari (in particolare dal papà Marco e dall’insostituibile fratello maggiore Rosario, che ha rinunciato a un futuro da attore per prestargli le braccia e aiutarlo a realizzare i suoi sogni da chef), così come le loro partecipazioni a programmi televisivi, sono numerose; in questa pagina, ad esempio, potete vedere Paolo e Rosario il 26 gennaio scorso, ospiti della trasmissione “Bel tempo si spera”, in onda tutte le mattine dal lunedì al venerdì su TV2000.
Se Paolo riuscirà nel suo intento, come tutti ci auguriamo, la qualità di vita dei malati di SLA (e non solo) migliorerà sensibilmente, se non altro perché non saranno più costretti a rinunciare alla buona cucina. Tuttavia siamo consapevoli che per fermare la SLA non bastano i sapori a colori, occorre trovare una cura: ad oggi, l’unica terapia bloccante, molto costosa e non autorizzata in Italia, si basa sull’utilizzo di cellule staminali cerebrali; vi sono poi altre sperimentazioni, sia gratuite che a pagamento, che sembrano rallentare il decorso della malattia. Attualmente Paolo ne sta provando una, gratuita, che segue un protocollo americano e prevede l’introduzione di cellule staminali nell’organismo del paziente per via endovenosa; in parallelo, il nostro chef in erba assume una flebo al giorno di RADICUT® (edaravone), un farmaco antiossidante che blocca la produzione di radicali liberi (al tempo stesso una causa e una conseguenza della SLA) e che, non essendo ancora autorizzato in Italia, gli arriva direttamente dal Giappone, Paese produttore.
Mentre si sottopone a queste cure confidando nei loro effetti benèfici e sognando di poter guarire dalla SLA, Paolo continua comunque a costruire il suo futuro, ripartendo da quel giorno di giugno 2015 in cui il suo braccio destro aveva iniziato a fare i capricci e il tempo si era fermato. Ecco perché, non appena il decorso della malattia e il protocollo sperimentale mirato a contrastarla glielo permetteranno, sarà felicissimo di recarsi a Colorno (PR), dove ha sede ALMA – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana; qui, insieme al fratello Rosario, presenzierà ai corsi tenuti da Gualtiero Marchesi e dal suo staff. Come potete vedere anche dal video pubblicato in questa pagina, ad offrire questa grande opportunità al ragazzo è stato lo stesso Gualtiero Marchesi, Rettore della scuola, che è rimasto molto colpito dalla vicenda di Paolo e ha voluto quindi aprirgli una porta sul futuro.
E allora forza, Paolo! Continua a credere nei sogni, pennellate di colore sulla tela della nostra esistenza, ma soprattutto non stancarti mai di inventare piatti nuovi, che sappiano trasmettere a chiunque li assaggi (malato o sano che sia) l’inconfondibile sapore della vita, sempre e comunque degna di essere vissuta!