Lo scorso mese di luglio avevo presentato alle lettrici e ai lettori di questa rubrica Salvatore Cimmino, un uomo che ha saputo trasformare la propria disabilità in opportunità, mettendo concretamente in pratica l’invito di Papa Francesco a costruire ponti anziché muri; con il suo progetto “A nuoto nei mari del globo”, descritto in dettaglio nell’articolo pubblicato allora, questo nuotatore dal cuore grande si prefigge l’obbiettivo di unire mondi e culture diverse, ma soprattutto di dare visibilità a tutti quei soggetti che la vita ha reso meno fortunati di altri. Dall’uscita di quell’articolo sono passati circa quattro mesi e, a quanto mi risulta, Salvatore sta continuando a prepararsi per la tredicesima tappa del suo particolarissimo tour, la traversata dello Stretto di Tsugaru, che collega il Mar del Giappone all’Oceano Pacifico.
Per arrivare in perfetta forma a quest’appuntamento bisogna allenarsi tutti i giorni, allora perché non cogliere i classici “due piccioni con una fava” e approfittarne per creare ponti anche sulle acque di casa nostra? Probabilmente è stato questo pensiero che ha indotto Salvatore a decidere quale sarà la sua prossima impresa in acque italiane: domenica 12 novembre si tufferà nel mare che bagna l’isola di Ponza, in provincia di Latina, e nuoterà per circa 45 km (24 miglia marine) fino a raggiungere il porto di San Felice Circeo, situato nella medesima provincia.
A dargli l’energia per compiere questa traversata sarà Davide Vizza, un bambino romano che l’11 febbraio compirà sei anni, ma che purtroppo ancora non parla, fatica a mangiare da solo, ha frequenti crisi respiratorie e porta il pannolino; fortunatamente però, Davide è anche un bambino dal carattere dolce e affettuoso, che con il suo sorriso aperto riesce a conquistare tutti, facendoli diventare ben presto suoi alleati nella battaglia contro Golia.
Di quale Golia stiamo parlando? – direte voi. Non certo del guerriero filisteo sorprendentemente alto ucciso dal futuro re d’Israele, Davide appunto; il gigante che impedisce al protagonista di questa storia di essere sveglio e birichino come la maggior parte dei suoi coetanei (e come i suoi stessi fratelli) si chiama Sindrome di Pitt Hopkins (PTHS) e ad oggi è molto meno conosciuto rispetto al Golia biblico.
Come si è scoperto appena dieci anni fa, questa sindrome, diagnosticata a Davide nel luglio 2013, è una malattia rara dovuta a una mutazione del gene TCF4, localizzato sul cromosoma 18. Gli effetti clinici di questa modificazione genetica “de novo”, cioè non ereditaria, sono molteplici: ritardo psicomotorio e cognitivo, compromissione del linguaggio, problemi neurologici e respiratori, mancanza di coordinazione nei movimenti, difetti oculari quali strabismo, miopia e astigmatismo, epilessia, convulsioni, stipsi, ipotonia generalizzata; la panoramica dei “sintomi” è dunque molto varia e al momento non è possibile stabilire con certezza quali tra le patologie riscontrate nei pazienti Pitt Hopkins siano direttamente riconducibili alla sindrome e quali invece siano insorte nelle singole persone indipendentemente dalla mutazione genetica. Questo è uno dei motivi per cui la diagnosi della sindrome non avviene sempre precocemente, anzi si pensa addirittura che alcuni casi non vengano diagnosticati affatto; la necessità di sostenere la ricerca scientifica al fine di acquisire una maggior conoscenza della sindrome e dei suoi effetti, documentandone i casi e istituendone un registro nazionale, appare dunque evidente.
Con questi intenti, oltre che con quello di dare supporto e sostegno ai bambini affetti dalla Sindrome di Pitt Hopkins e alle loro famiglie, offrendo un’opportunità di confronto e condivisione di emozioni, esperienze e terapie, il 5 agosto 2014 nasce a Roma l’Associazione Italiana Sindrome di Pitt Hopkins – Insieme di più; si tratta di una ONLUS fondata da cinque genitori (due dei quali sono proprio i genitori di Davide, Gianluca Vizza e Tiziana Russo) e fortemente voluta dalla dottoressa Marcella Zollino, in servizio presso l’Istituto di Genetica Medica del Policlinico “Gemelli” di Roma, che a tutt’oggi ne coordina il Comitato Scientifico.
Una delle iniziative intraprese dal sodalizio in questi tre anni per far sì che un numero crescente di medici e ricercatori si dedichi allo studio della Sindrome di Pitt Hopkins, è l’istituzione di un premio per le migliori tesi di laurea o di specializzazione sulla sindrome stessa; il premio, giunto nel 2017 alla sua terza edizione, viene consegnato nell’ambito di un evento annuale che si tiene presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano e che di solito si svolge a ridosso del 18 settembre, ovvero del “Pitt-Hopkins Awareness Day” (Giornata della consapevolezza sulla Sindrome di Pitt Hopkins).
Se dall’agosto 2014 ad oggi il numero degli iscritti alla ONLUS è quasi triplicato e i quindici soci iniziali sono diventati più di quaranta, vuol dire che finalmente le acque cominciano a muoversi e che le diverse campagne di sensibilizzazione lanciate finora, anche grazie al prezioso contributo dell’ex campione olimpico di nuoto Massimiliano Rosolino in qualità di testimonial, stanno portando i primi frutti. Tuttavia la strada da fare per garantire ai bambini come Davide (che un suo amichetto definisce “un po’ piccolo e un po’ grande”) un futuro migliore, è ancora lunga; allo stato attuale infatti, la Sindrome di Pitt Hopkins sembra essere sottodiagnosticata (nel mondo i casi accertati sono circa cinquecento, dei quali quaranta risiedono in Italia, in gran parte nel Nordest, ma quelli effettivi potrebbero essere molti di più), ma soprattutto non compare nel manuale ICD9CM per la classificazione internazionale delle malattie. Ciò significa che essa è considerata una malattia rara, per la quale ancora non esiste un codice identificativo specifico, un protocollo terapeutico standardizzato, né tantomeno una cura risolutiva.
La qualità di vita dei pazienti affetti dalla sindrome, il loro programma di riabilitazione più o meno intensivo e i risultati ottenuti grazie ad esso, dipendono dunque molto dalla competenza e professionalità dei medici e terapisti di riferimento, dall’impegno e dal sacrificio delle singole famiglie, nonché dal contesto sociale in cui i soggetti sono inseriti, oltre che dal livello di gravità della malattia. Alla luce di queste variabili, Davide è un bambino fortunato: la sindrome gli è stata diagnosticata abbastanza precocemente (quando aveva circa un anno e mezzo), il suo percorso riabilitativo lo impegna per cinque giorni su sette (mentre altri bambini hanno accesso alle terapie soltanto una volta alla settimana), la caparbietà dei suoi terapisti e dei suoi genitori lo ha sempre stimolato e aiutato a raggiungere traguardi che sembravano impossibili, i suoi fratelli Francesco e Alessia, di sette e due anni, lo adorano e sono molto protettivi e attenti con lui, gli insegnanti e i compagni della scuola materna lo circondano di premure e lo considerano parte integrante della classe.
Purtroppo non tutti i bambini con la Sindrome di Pitt Hopkins o qualche altra malattia rara possono crescere in un ambiente sereno e stimolante come quello in cui vive Davide; spesso le loro famiglie non sanno che pesci pigliare, si sentono sole e abbandonate, non hanno la forza o i mezzi per far valere i loro diritti e, in ultima istanza, non riescono a vedere la luce in fondo al tunnel. Ecco allora perché è importante “fare rete” e costruire ponti, a vari livelli: tra le famiglie, perché possano rispecchiarsi l’una nell’altra sostenendosi a vicenda; tra gli “addetti ai lavori” che operano nei diversi ospedali d’Italia e del mondo, affinché riescano a condividere un bagaglio di informazioni sempre più ampio e quindi ad aiutare il maggior numero di pazienti possibile; tra gli specialisti e le famiglie, in modo che i primi possano reperire all’interno delle seconde i “casi” da studiare e che i risultati delle loro ricerche vadano poi a beneficio di questi stessi soggetti o di altri con problematiche analoghe; last but not least, come direbbero gli Inglesi, è importante stabilire un contatto anche tra coloro che, in quanto pazienti o familiari di pazienti, convivono quotidianamente con una malattia rara e coloro che probabilmente non ne hanno mai sentito parlare (un incontro di questo tipo sarà senz’altro arricchente per entrambe le parti e risveglierà il loro senso di appartenenza alla stessa società civile, che rimane unica e indivisibile pur nelle sue mille sfaccettature).
“Fare rete” è uno degli obbiettivi dell’Associazione Italiana Sindrome di Pitt Hopkins – Insieme di più, che abbiamo presentato più sopra; costruire ponti, seppur metaforicamente, è una delle maggiori abilità di Salvatore Cimmino, del quale abbiamo scritto in apertura; se a questo aggiungiamo che lui e Gianluca Vizza, socio fondatore e attuale Presidente dell’associazione, sono colleghi di lavoro, il gioco è fatto! Ora non resta che attendere il 12 novembre e prepararci a fare il tifo: dovremo senz’altro seguire l’impresa sportiva di Salvatore, che ci terrà con il fiato sospeso dalla prima all’ultima bracciata, ma l’applauso più forte dovrà essere per Davide e per tutti i guerrieri come lui, con l’augurio che in un futuro non troppo lontano il gigante Golia che stanno combattendo possa venire sconfitto per sempre.