Il 2018 è giunto ormai quasi a metà del suo percorso e finora non c’è stato un giorno in cui accendendo la televisione o leggendo un giornale io non sia venuta a conoscenza di episodi di violenza, razzismo, bullismo o discriminazione; è superfluo dire che nella maggioranza dei casi le “vittime” appartengono alle categorie più deboli della popolazione: donne, ragazzi e ragazze in età adolescenziale, anziani, immigrati, disabili. Purtroppo sembra che nel mondo di oggi la legge del più forte sia l’unica regola; ebbene, come ogni regola che si rispetti, fortunatamente anche questa ha le sue eccezioni, una delle quali è rappresentata dalla storia che mi accingo a raccontarvi.
Abdallah Aoun è un diciottenne aostano di origini tunisine che a causa di una paralisi cerebrale infantile (PCI) si sposta da sempre in sedia a rotelle; nella società attuale già una di queste caratteristiche potrebbe bastare per renderlo un facile bersaglio di insulti e provocazioni, figuriamoci cosa significa convivere con entrambe. Ma come dicevamo prima, Abdallah è un’eccezione: per lui questi problemi non esistono, infatti si sente perfettamente integrato nella cerchia dei suoi coetanei, che non lo hanno mai considerato diverso e non gli fanno minimamente pesare il suo handicap fisico.
Anche in famiglia la condizione del ragazzo è stata accettata sin da subito, i suoi genitori l’hanno cresciuto amorevolmente, sostenendolo sempre senza riserve; in particolare la mamma Najet, che ormai da oltre un anno tifa per lui dal cielo, non ha mai smesso di incoraggiarlo a vivere nuove esperienze e ad affrontare la vita con grinta e determinazione, per potersela cavare da solo in caso di necessità.
Proprio perché desideroso di provare sensazioni ed emozioni diverse, nella sua vita Abdallah si è avvicinato a moltissimi sport, quali ad esempio sci, tennis, equitazione, scherma, nuoto e basket, ma quello che l’ha attratto più di ogni altro e al quale sembra essersi definitivamente consacrato è la boxe. La prima volta che ha indossato i guantoni era il 23 ottobre 2008, giorno del suo nono compleanno; tra i regali da scartare ce n’era uno veramente speciale da parte del papà, si trattava nientepopodimeno che di un sacco da pugile, esattamente quello che ci voleva per dare a un bambino con l’argento vivo addosso la possibilità di sfogarsi e scaricare le tensioni.
Dopo circa quattro anni passati ad osservare i pugni tirati dal figlio, il padre ha capito che quella di Abdallah per la boxe è una vera passione, così nel 2012 l’ha spinto ad andare a bussare alla porta del Boxing Team Aosta. Qui è stato prontamente accolto dal personal trainer Stefano Marcias (insieme a lui nella foto e nel video che vedete in questa pagina), che da allora si occupa quotidianamente della sua preparazione atletica e lo fa “salire sul ring” due volte a settimana.
Durante le sessioni di allenamento il nostro aspirante pugile è felice, perfettamente a suo agio, tanto che quasi si dimentica di essere seduto su una carrozzina; purtroppo però non ha mai avuto l’opportunità di combattere veramente, sfidando un avversario nelle sue stesse condizioni. Questo perché attualmente in Italia la boxe non è riconosciuta come sport per disabili, al contrario di quanto invece accade in altri Stati, per esempio in Francia.
In una nota del 7 aprile scorso la Federazione Pugilistica Italiana (FPI) spiega che si stanno muovendo i primi passi in questa direzione, visto anche il crescente interesse dei soggetti diversamente abili per il pugilato; all’interno della Federazione stessa è stata recentemente istituita una Commissione di studio che avrà il compito di stilare delle linee guida dettagliate per l’accesso alla pratica della boxe amatoriale da parte degli atleti con disabilità. È chiaro che siamo ancora molto lontani dal giorno in cui la “handiboxe” troverà un posto tra le discipline paralimpiche, ma sognare non costa nulla; ecco perché Abdallah si immagina già sul podio di una Paralimpiade con una medaglia al collo, tuttavia sapendo che la strada per raggiungere quest’obbiettivo è piuttosto lunga, rimane con i piedi per terra e pensa anche a un futuro professionale fuori dal ring.
Sebbene al momento preferisca non svelare qual è il suo lavoro ideale, l’atleta del Boxing Team Aosta non nasconde la sua preoccupazione per la scarsità di prospettive d’impiego offerte ai disabili della sua generazione; un pensiero questo, che se possibile rende ancora più forte in lui il desiderio di riuscire prima o poi ad apportare un contributo importante e significativo allo sviluppo della società civile.
Nell’esternare questa sua speranza, il boxeur aostano non è forse pienamente consapevole del fatto che già ora, da semplice liceale, è un grande esempio per giovani e meno giovani; la sua forza (interiore più che fisica) e la sua intraprendenza possono ispirare molte persone, stimolandole a “prendere a pugni” le avversità della vita e a trovare il coraggio di rialzarsi dopo ogni caduta. Non da ultimo, vogliamo auspicare che la sua storia faccia riflettere anche i cosiddetti “bulli”, insegnando loro un modo alternativo (e senz’altro più sano) di usare la propria forza, facendola giungere ai muscoli solo dopo averla attinta dal cuore e calibrata con il cervello.