Attualmente sulla Terra vivono oltre sette miliardi di persone, ciascuna con i propri tratti somatici, il proprio carattere, le proprie attitudini e le proprie inclinazioni; purtroppo la società odierna, in particolare quella dei Paesi sviluppati, ci spinge a concentrarci maggiormente sull’aspetto fisico, relegando attitudini e inclinazioni in secondo (ma oserei dire anche in terzo o quarto!) piano, quasi non fossero elementi importanti per definire una persona nella sua unicità. Così, non solo ci ritroviamo incapaci di capire il nostro prossimo, che non ci sforziamo di conoscere interiormente, ma non riusciamo nemmeno a portare alla luce la nostra vera essenza, finendo spesso per dimenticare (o addirittura per ignorare) chi siamo davvero e quali sono le nostre reali potenzialità; in maniera più o meno consapevole, ci comportiamo come il servo fannullone che appare nella parabola dei talenti (Mt, 25: 14 – 30), con la differenza che per lui un talento è una moneta, mentre per noi è un’abilità, una dote.
Proprio come quel servo, preferiamo che i nostri talenti rimangano nascosti, abbiamo paura di rischiare e di uscire allo scoperto, ci aggrappiamo alle nostre sicurezze senza accorgerci che stiamo sprecando tempo prezioso; in alcuni casi questa “passività” può durare una vita intera (che allora diventerà mera sopravvivenza), in altre circostanze un evento traumatico o doloroso può contribuire a darci una scossa e farci capire che dobbiamo giocare tutte le nostre carte, altre volte ancora un compleanno importante, a cifra tonda, può rappresentare l’occasione per fare un bilancio e decidere di cambiare rotta, di abbandonare una strada che sembra già segnata per imboccarne una completamente diversa.
Nel caso di Andrea Bianco, un bolzanino nato nel 1970, il primo scossone arriva all’età di ventun anni, quando è in macchina con la fidanzata e un camion li travolge, facendoli finire contro un platano; mentre la sua fidanzata Lara rimane illesa, Andrea subisce pesanti conseguenze. Al suo arrivo in ospedale ha pochissime speranze di salvarsi, ma fortunatamente dopo venti giorni di coma si risveglia, anche se totalmente al buio; questo non perché la luce della sua camera sia spenta, ma perché ha perso la vista. Inoltre, nonostante i numerosi interventi chirurgici e un lungo periodo di riabilitazione, la gamba sinistra non risponderà mai più come prima e il senso dell’orientamento risulterà fortemente compromesso.
È chiaro che dopo un incidente simile la vita cambia per sempre, non è più possibile continuare lungo il percorso prestabilito; così Andrea abbandona gli studi di Economia e commercio a Trento (che tra l’altro fino ad allora non l’avevano entusiasmato più di tanto) e inizia a riorganizzare la sua esistenza, pieno di gratitudine per il semplice fatto di essere ancora vivo. Nella speranza di guarire, si avvicina alla fede, giungendo poi a capire che questa non gli restituirà la vista, ma gli darà la forza per accettare la sua nuova condizione e per guardare al futuro con occhi diversi; animato da nuove convinzioni e nuovi valori, nel 1994 sposa Lara, dalla quale avrà quattro figli, e due anni più tardi viene assunto come impiegato nella Pubblica Amministrazione. In ufficio incontra parecchie difficoltà per ottenere una postazione idonea, dotata di ausili che gli consentano di svolgere autonomamente le sue mansioni, quali ad esempio un computer con sintetizzatore vocale; il rapporto con i colleghi è invece abbastanza “normale” e rispecchia un po’ quello che avviene quotidianamente nella società civile: con alcune persone c’è più intesa, con altre meno, alcuni considerano Andrea “uno di loro”, per altri invece è un collega di serie B. All’interno di un gruppo, tutto questo fa parte del gioco, bisogna soltanto prenderne atto e non lasciarsi scoraggiare o intimorire dalla percezione che gli altri hanno di noi.
Intanto il tempo passa e là, chiuso in un cassetto, c’è un sogno che aspetta di essere realizzato: sin da ragazzo Andrea vorrebbe diventare uno scultore, gli piacerebbe soprattutto imparare a scolpire il legno; in fondo, una vena artistica l’ha sempre avuta, ma finora gli è mancata l’opportunità di esprimerla. Ecco perché nel 2010, quando sua moglie gli chiede cosa desidererebbe per i suoi quarant’anni (un compleanno importante, a cifra tonda, adattissimo per lasciare spazio al cambiamento, come si diceva all’inizio), lui apre il cuore e le chiede di aiutarlo ad assecondare questa vocazione.
Ovviamente Lara è ben felice di accompagnare il marito in questa nuova avventura, quindi i due coniugi iniziano insieme a contattare diversi scultori locali, sperando che almeno uno sia disponibile ad insegnare a un non vedente come Andrea i trucchi del mestiere; purtroppo però, gli artisti interpellati sembrano tutti dello stesso avviso: si tratta di un’attività troppo pericolosa, il rischio di farsi male è veramente alto e nessuno vuole prendersi una simile responsabilità. Nonostante tutte queste “porte in faccia” Andrea non si scoraggia, comincia a frequentare dei corsi per imparare a modellare l’argilla (che non lo soddisfano molto in quanto sono tutti di livello base, quindi non gli permettono di progredire e migliorarsi) e intanto prosegue nella ricerca di un maestro.
Dopo qualche mese conosce Nicola Hornacker, studente di design alla Libera Università di Bolzano con la passione per la scultura, che raccoglie la sfida e accetta di insegnargli a scolpire il legno; innanzitutto Nicola si preoccupa di impartire ad Andrea le regole da rispettare per lavorare in sicurezza, dopodiché si passa all’apprendimento delle tecniche vere e proprie. Tra i due artisti si instaura subito un buon rapporto, che poi si concretizza in una collaborazione lunga tre anni; i progressi di Andrea sono continui e ben presto è in grado di scolpire a livello professionale, riuscendo persino ad accorgersi se quello che ha davanti è un lavoro finito oppure no. Questo perché il fatto di toccare una scultura in tutte le sue parti gli consente di percepirla nella sua interezza, al contrario di un vedente, che di solito tende a guardare l’opera da una sola angolazione.
Se le sculture lignee gli vengono bene, perché non cimentarsi anche con il marmo? Dopotutto Lasa non è molto distante da Bolzano, dove Andrea risiede, ed è famosa per il suo marmo bianco, particolarmente duro e pregiato; la località ospita una scuola per scalpellini e scultori conosciuta in tutto il mondo ed è proprio qui che dal 2015 il nostro scultore si reca ogni anno per perfezionare la tecnica, ma anche per avere l’opportunità di confrontarsi con artisti e maestri più esperti di lui.
Il 2015 è probabilmente l’anno in cui Andrea capisce che per lui la scultura non è un semplice passatempo, bensì una vera passione, un’attività che lo impegna molto (circa tre o quattro ore al giorno) e che in futuro potrebbe persino diventare la sua professione. Ecco perché decide che è arrivato il momento di farsi conoscere, ma soprattutto di condividere con altre persone il suo sogno realizzato; per raggiungere quest’obbiettivo, imbocca due diverse strade: oltre ad aprire un proprio sito web (che offre a tutti la possibilità di entrare in contatto con l’artista e le sue opere), organizza presso la Sacred Art School di Firenze il primo corso internazionale di scultura per non vedenti, partecipandovi sia come studente che come insegnante. Nelle intenzioni di Andrea, i tredici corsisti dovrebbero dare vita a una piccola comunità e mantenere i rapporti anche dopo la fine di quest’esperienza, continuando a scambiarsi informazioni e idee sulla scultura, con particolare riferimento alla lavorazione dell’argilla. In realtà, nonostante le reazioni positive a questi dodici giorni di stage, una volta tornati alla solita vita tutti sembrano restii al dialogo, c’è molto individualismo e la proposta di Andrea finisce per cadere nel vuoto.
Non per questo lui si demoralizza, anzi, lavora ancora più alacremente per produrre nuove opere, “saggiare” nuovi materiali (come ad esempio il bronzo) e misurarsi con nuove tecniche; la sua instancabile ricerca di stimoli e opportunità di crescita lo porta a incontrare anche artisti piuttosto famosi e a collaborare con loro, diventandone poi amico. Tra le personalità più “alternative” finora conosciute da Andrea, vale senz’altro la pena di citare il giovane scultore di origini laziali Jago Jacopo Cardillo, che si distingue perché promuove la sua arte in maniera indipendente, attraverso i social network; in un’intervista rilasciata a Carmela Marsibilio, giornalista di Rai Alto Adige e curatrice del documentario “Vedere con le mani” (che ripercorre i tratti salienti della vicenda umana e artistica di Bianco e che è stato trasmesso per la prima volta il 26 febbraio 2017 all’interno del programma “Passpartù”), Jago definisce il suo amico “l’immagine della sincerità” e spiega come l’incontro con lui lo abbia arricchito, permettendogli di “nutrirsi” e imparare qualcosa che poi è andato a beneficio del suo stesso percorso artistico.
In fondo proprio questo è il motivo per cui le sculture di Andrea Bianco, in particolare quelle dedicate all’universo femminile (che rappresentano la parte più importante della sua produzione), risultano spesso prive di occhi, senza braccia, o con forme appena abbozzate: esse si propongono di far emergere soltanto la vera essenza del soggetto, lasciando piena libertà interpretativa all’osservatore, invitandolo a interrogarsi e stimolandolo ad usare la fantasia e a scavare dentro di sé per andare oltre le apparenze, per riuscire a vedere anche ciò che non vede. Nei vari incontri con i ragazzi delle scuole o con il pubblico che visita le sue numerose mostre, l’artista offre la possibilità di toccare le opere, cosicché attraverso il tatto (un senso troppo spesso sottovalutato) i presenti possano provare le sue stesse sensazioni, molto diverse da quelle che un oggetto artistico suscita se viene osservato.
Quest’approccio di Andrea con i fruitori della sua arte, ma anche con i “colleghi” che si dedicano alla scultura a livello più o meno professionale, sembra funzionare piuttosto bene, tanto che il suo calendario è sempre pieno di appuntamenti. Dopo una mostra personale allestita in Versilia (al Lido di Camaiore) dal 19 al 25 luglio scorso, nel primo weekend di questo mese ha esposto alcune sue opere a Lasa (BZ) nell’ambito dell’evento “Marmor & Marillen”, che viene organizzato annualmente per celebrare e valorizzare quelli che sono due “prodotti simbolo” del posto, ovvero il marmo e le albicocche; proprio in questi giorni, dal 6 al 12 agosto, lo scultore bolzanino è profeta in patria, infatti la città che gli ha dato i natali ospita (non per la prima volta) una sua mostra. A settembre Andrea sarà invece a Marina di Massa (MS), infine dal 23 al 25 novembre si troverà alla Fiera di Roma, dove prenderà parte come espositore alla prima edizione di “Oltre l’Arte – L’eredità del futuro. Roma d’Arte Expo”, una fiera dedicata all’arte moderna e contemporanea.
Tra un impegno e l’altro, Andrea non smette mai di pensare a come migliorarsi e migliorare le sue opere: uno dei suoi prossimi obbiettivi è quello di riuscire a dipingere da solo le sculture in legno, usando le mani come fossero pennelli; l’acquisizione di quest’ulteriore abilità gli permetterebbe di non dover ricorrere all’intervento di sua moglie Lara, che già lo aiuta moltissimo facendogli da manager e curando per lui le pubbliche relazioni, oltre ad accompagnarlo negli spostamenti.
Dunque la carne al fuoco è tanta, eppure non sembra troppa, nella mente e nel cuore di questo artista c’è sempre spazio per nuovi progetti e nuove esperienze, ma soprattutto per le sorprese che la vita ha in serbo per lui. Eh già, perché la vita è bella comunque, anche con un senso in meno; tutto sta nell’imparare ad attivare al massimo i quattro sensi rimasti intatti e ad usarli per vivere pienamente ogni giorno, accettandolo così come viene.
Con questo spirito Andrea Bianco è riuscito a realizzare il suo sogno di gioventù quando ormai aveva tagliato il traguardo degli “anta”; ciò significa che non vi è un’età per smettere di sognare e che non è mai troppo tardi per disseppellire i nostri talenti, portarli alla luce e lasciare che colorino le nostre vite rendendole migliori!