Va bene: manca Powell, si vede e si sente: ma Udine non può né deve essere così timida all’interno dell’area colorata, dove stasera Morse ha giocato da califfo come mai gli era capitato prima, svitando 12 lampadine (sette in attacco, tramutate in punti quasi regolarmente) contro le 14 della combo Chris-Ciccio e realizzando 18 punti su azione comodi comodi.
Udine resta a galla finché le regge l’artiglieria pesante; si era 27-23 (dopo un 3-10 iniziale) e la squadra pareva avere il piglio giusto per espugnare l’arena mantovana. Invece da lì a fine secondo periodo 6-21, sette altri punti di passivo nella ripresa (sostanzialmente un lungo allenamento) e la Pompea meritatamente porta a casa i due punti.
Mantova non la seguo abitualmente, l’avevo vista due volte al netto della gara d’andata. Beh, mai era risultata così performante come stasera: 19 pezzi del bravo Tommy a Udine mai si erano annotati; diciassette sono quelli del veterano Ghersetti che oggi ha giocato da ventenne. Morse, come detto, ha fatto sostanzialmente quel che ha voluto in area, poco e mal contrastato dai centri bianconeri (al contrario di quanto avrei pensato in sede di prepartita, scrivendolo peraltro). Rain è uscito con due triple fondamentali nel momento in cui Udine provava la risalita, nel terzo periodo. Il solito, bravo Veideman.
Ormai sono diciassette le gare trascorse, e Udine ha mostrato di avere lacune chiare in intensità più che in qualità; le doti dei ragazzi ci sono, altrimenti Imola non sarebbe stata schiantata senza praticamente americani. Ma lontano dal Carnera troppi diventano piccoli piccoli, innervosendosi per alcune chiamate arbitrali discutibili (della trimurti in arancio non parlo, essendo stati ininfluenti sulla gara: ma vedere un direttore di gara sancire un fallo tecnico alla panchina spalle al coach è semplicemente maleducato. Il senso d’onnipotenza di alcuni resti, lo spero, circoscritta alla divisa di gara) e subendo la fisicità avversaria.
Mantova non è, mi perdoneranno gli amici mantovani che abbraccio e cui rivolgo ventisette minuti d’applausi, la squadra più forte del girone; al netto di una prestazione, lo ripeto, quasi perfetta (bravo coach Finelli) i demeriti bianconeri sono clamorosi. Sedici palle perse e solo una recuperata; una percentuale al tiro bassissima; qualche rimbalzo più degli avversari, ma pochi convertiti in due punti da seconde azioni. Insomma ancora una volta, forse peggio di sempre, l’Udine da trasferta sembra un iceberg ai tropici: alle prime difficoltà si squaglia irrimediabilmente.
Veideman, Raspino, Ghersetti e Morse la vincono quasi da soli; per la GSA un commovente Trevis, ma non può bastare.
E adesso, che fare?
Udine ormai vede svaniti i primi tre posti in classifica, ad appannaggio di Bologna (che verrà promossa in A1), Treviso o Montegranaro. I biancoblu di coach Menetti e i marchigiani di Pancotto si disputeranno la piazza d’onore, quella che garantisce il fattore-campo fino alla ‘finale di conference’; Udine, Forlì e Verona per le altre tre posizioni di maggior vantaggio.
Vale la pena pensare direttamente e conservativamente ai playoff? Non credo ci sarà la possibilità. Le prossime due gare sono, alla luce dell’assenza di Marshawn, due ‘ottomila’ da scalare. Ci si proverà, perché le qualità ci sono ma in particolare c’è, almeno da parte nostra, tanta passione.
Che dev’essere, sempre, corrisposta.
Onore infine alle due curve, calde e vicine alla squadra per tutti i 40’ di gioco. Ho sentito di qualche parola sfuggita dal Settore al termine della gara, e prontamente raccolta e smorzata dal G.M. L’amore per i propri colori è anche questo.