A quanti di noi, almeno una volta nella vita, è sembrato di toccare il cielo con un dito? Facciamo quest’esperienza ogni qualvolta viviamo una grande gioia, quando riceviamo una sorpresa inaspettata, quando raggiungiamo un obbiettivo, quando un sogno inseguito da tempo diventa realtà… Tocchiamo il cielo con un dito, spesso senza bisogno di alzare le braccia, eppure il cielo rimane là, lontano e immobile sopra le nostre teste; in molti casi si tratta addirittura di una metaforica “toccata e fuga”: nell’euforia del momento tocchiamo il cielo, poi torniamo con i piedi per terra e ci dimentichiamo di ringraziarlo per il dono che ci ha concesso.
Ma se il cielo ti ha dato una seconda possibilità, una seconda vita, non puoi scordarti di ringraziarlo e farai qualsiasi cosa pur di sentirlo più vicino, non importa quanta fatica ti costerà! Lo sa bene Andrea Lanfri, un trentaduenne toscano che nel gennaio 2015 è stato “graziato” e ha avuto la sua seconda occasione. All’epoca era un ragazzo come tanti, appassionato di montagna e di arrampicate, che non disdegnava neppure le cene con gli amici; molto probabilmente, un ristorante affollato è stato appunto il “vettore” che ha introdotto il virus della meningite nel corpo di Andrea.
Così il 21 gennaio di quattro anni fa, tutto inizia con un po’ di febbre; dapprima sembra una normale influenza, un malanno di stagione, ma la situazione si aggrava con il passare delle ore, la febbre continua a salire e si rende necessario il ricovero in ospedale; qui, dopo le prime terapie antibiotiche per sconfiggere il virus, si decide di procedere all’amputazione degli arti inferiori e di sette dita delle mani, completamente necrotizzate.
Un destino del genere non è certo facile da accettare, ancor più quando si è giovani e si ha tutta la vita davanti, con mille progetti e sogni nel cassetto; proprio per questo Andrea non si arrende, vuole vincere la malattia a tutti i costi, “anche solo per farle un dispetto”, racconta. “Quando ho visto che non c’erano più i piedi mi è venuta voglia di correre” – continua – “I miei familiari ed amici erano convinti, come me, che sarei tornato l’Andrea di prima e io non potevo deluderli. Quindi ho iniziato un percorso che mi ha portato a riprendermi la vita che la malattia voleva togliermi.”.
Dopo cinque mesi trascorsi in un letto d’ospedale, c’è una gran voglia di ripartire subito, di recuperare il tempo perso; le protesi non ci sono ancora, però c’è una carrozzina ed è più che sufficiente per rimettersi in gioco a suon di schiacciate e bagher, ovvero praticando il sitting volley. Finalmente ad agosto arrivano le prime gambe in carbonio: quale palestra migliore delle strade di montagna dietro casa? Questo è l’unico centro riabilitativo frequentato da Andrea in quel periodo e la sua fisioterapista personale è Kyra, un bellissimo husky che ogni giorno vuole essere portato a passeggio.
Un allenamento dopo l’altro, il passo diventa via via più sostenuto, finché la camminata si trasforma in una corsa; nel gennaio 2016, ad un anno esatto dallo sgraditissimo incontro con la meningite, Andrea inizia a praticare seriamente l’atletica leggera. Durante una delle prime gare, alla quale partecipa quasi per scherzo, raggiunge un ottimo tempo e capisce che questa è davvero la sua strada, così sceglie di specializzarsi nella velocità, gareggiando nei 100, 200 e 400 metri piani; i suoi primi avversari sono tutti atleti normodotati, soltanto dopo qualche mese, l’amicizia con il podista non vedente Stefano Gori (anch’egli di Lucca) gli permette di entrare nel mondo dell’atletica leggera paralimpica.
In questo ambiente Andrea può gareggiare “alla pari”, misurandosi con atleti in condizioni fisiche simili alle sue e riuscendo a dare il meglio di sé; la prima medaglia arriva già a giugno 2016, durante i Campionati Europei Paralimpici di Grosseto ed è un bronzo nella staffetta 4×100. L’anno successivo, ai Mondiali di Londra, è la volta di un argento nella stessa specialità; infine, nel 2018, i Campionati Europei Paralimpici di Berlino regalano ad Andrea un doppio podio: medaglia di bronzo nei 200 metri piani e d’argento nella staffetta 4×100. Questi importanti risultati si aggiungono agli ori ottenuti per tre anni consecutivi (dal 2016 al 2018) ai Campionati italiani assoluti, sulle distanze dei 100, 200 e 400 metri piani.
Un palmares di tutto rispetto, dunque; eppure Andrea non ha alcuna intenzione di accontentarsi. Al contrario, è sempre alla ricerca di nuovi stimoli e nuove sfide e ogni volta sceglie di puntare un po’ più in alto; manco a dirlo, oggi il suo pensiero corre già alle Paralimpiadi di Tokyo 2020: perché non provare a vincere qualche medaglia anche in quell’occasione? Che grande gioia sarebbe, un’altra opportunità per toccare il cielo con un dito…
Mentre insegue questo sogno, il velocista toscano prepara anche un “piano B”, ovvero prova ad avvicinarsi un po’ di più al cielo, nella speranza di riuscire a toccarlo meglio; è qui che entra in gioco un’altra sua grande passione, quella per le arrampicate. Siamo nel 2017 quando Andrea, dopo aver studiato e provato vari assetti di protesi, è finalmente in grado di tornare in montagna e rimettere le mani sulla roccia; da allora in poi, i suoi compagni di avventura sono la sua ragazza Natascia, gli amici con i quali arrampicava prima della malattia e il suo cane Kyra, che ormai è l’apripista ufficiale in tutte le uscite.
Forse anche per la fama che si è conquistato mangiando la polvere sulle piste di atletica, all’inizio dello scorso anno riceve una proposta che non può rifiutare: “metterci la faccia” (ma anche la fatica e il sudore!) come testimonial del progetto sperimentale “O.N.E. Oxygenated Natural Emotion Project Research”, il primo studio di ricerca sulla possibilità di contrastare i malesseri legati all’alta quota attraverso un’alimentazione specifica, allenamenti mirati e tecniche di respirazione particolari.
Il progetto si articola in tre fasi, ciascuna delle quali prevede la scalata di una vetta più alta della precedente; la prima cima da espugnare è il Monte Rosa: si parte da Staffal (una località della Valle d’Aosta che si trova a un’altitudine di 1.850 metri s.l.m.) e dopo tre giorni di ascesa si arriva alla Capanna Regina Margherita (4.554 metri s.l.m.), che è il rifugio più alto d’Europa. Visto il successo di questa prima impresa, compiuta nel luglio 2018, Andrea Lanfri, e Moreno Pesce (anche lui amputato a una gamba), accompagnati da un team di venticinque volontari e dieci medici che li monitorano costantemente, iniziano la preparazione per l’assalto alla seconda vetta.
Questa volta si tratta del vulcano Chimborazo, che si trova in Ecuador (180 chilometri a sud di Quito) e la cui cima, a 6.268 metri s.l.m., rappresenta il punto più lontano dal centro della Terra; l’avventura comincia da Milano il 2 gennaio scorso: uno scalo a Madrid, un altro a Bogotà e poi via fino a Quito. Da qui i partecipanti al progetto raggiungono un rifugio a quota 5.300 metri, quindi, tra il 5 e il 6 gennaio, conquistano la vetta e il giorno seguente iniziano la discesa.
Una settimana più tardi, Andrea Lanfri e compagni rientrano in Italia per godersi un periodo di meritato riposo; la spedizione è stata un successo, ma lo sguardo e il cuore sono già proiettati in avanti (o forse sarebbe meglio dire in alto), verso la terza e ultima salita inclusa nel progetto. Per finire in bellezza, gli alpinisti coinvolti in questo studio scaleranno il Monte Everest, che con i suoi 8.848 metri s.l.m. è considerato il tetto del mondo!
Per riuscire nell’impresa, programmata per il prossimo agosto, il trentaduenne di Lucca ha bisogno di protesi costruite su misura per lui, che come potete immaginare sono piuttosto costose; ecco perché in questa spedizione il ruolo degli sponsor, siano essi aziende o privati cittadini, sarà fondamentale. Allo scopo di ottenere finanziamenti, nei mesi scorsi Andrea ha promosso una raccolta fondi tramite il sito web della Fondazione Vodafone Italia, che si è impegnata a raddoppiare il contributo al raggiungimento del traguardo di 6.500 €.
Il denaro raccolto permetterà al nostro “alpinista bionico” di affrontare con più serenità le diverse spese connesse all’organizzazione ed effettiva realizzazione di questo sogno ad occhi aperti; nell’era di internet e dei social, dove tutto è documentato e condiviso in tempo reale, siamo certi che Andrea non mancherà di aggiornare i suoi sostenitori durante tutte le fasi dell’impresa. Per arrivare a un passo dal cielo insieme a lui, che questa volta ce la metterà davvero tutta per provare a uscire dalla metafora e toccarlo con le tre dita che gli sono rimaste, basterà collegarsi al suo sito e prendersi qualche minuto per emozionarsi.
Successivamente però, l’emozione dovrà lasciare spazio alla riflessione e tutti noi, in special modo coloro che nella vita hanno trovato qualche “intoppo”, come dice Andrea, dovremo capire e interiorizzare il messaggio che egli ci trasmette compiendo queste imprese: la vita è bella e va vissuta appieno, ma per questo non occorre essere dei supereroi; ciò che conta è avere voglia di fare e tante passioni da inseguire, così sarà sempre possibile andare avanti, nessuna malattia o difficoltà ci potrà mai veramente fermare!