In risposta alla riflessione di Cesare Cremonini di qualche giorno fa
Prendo spunto dalle considerazioni di qualche giorno fa dell’artista Cesare Cremonini perché quel che dice è corretto e non fa che sintetizzare con il suo autorevole punto di vista la situazione che strenuamente ho denunciato nelle sedi opportune già da qualche mese, e su cui poi c’è stato il ben noto effetto mediatico.
Noi operatori della musica e dello spettacolo lavoriamo in un settore tanto bello quanto difficile e soprattutto indecifrabile per chi lo vive solo in forma di fruizione.
Nell’ultimo periodo si è parlato di tutto e di più e l’attenzione si è focalizzata su alcune tessere di questo complesso mosaico, si è parlato di biglietti omaggio come di abusi di posizione dominante: ma in realtà come sempre la situazione è più complessa di quel che appare ed in questo caso riguarda un delicato ecosistema tra varie figure e ruoli imprenditoriali del mondo del live che ad un certo punto, per logiche onnivore di un mercato che ha tracimato il limiti tollerabili di aggressività e di competitività, si è cannibalizzato.
Vorrei porre però l’attenzione su due essenziali, anzi vitali, elementi della catena produttiva dello spettacolo dal vivo di cui si è parlato poco:
Il Promoter, che rischia nel bene o nel male gli esiti di un evento, garantendo civilmente, penalmente ed economicamente la riuscita dell’iniziativa. Si assume tutti i rischi d’impresa, a partire dal cachet artistico, per passare agli oneri civili e penali, contributi siae, personale, sicurezza, allestimenti, relazioni territoriali, promozione, presidi sanitari contatto con il pubblico.
Il promoter a prescindere dagli esiti paga e garantisce. Sempre.
Ma il sistema, già traballante, si è progressivamente alterato, con richieste da parte delle agenzie di distribuzione che tour dopo tour sono diventate sempre più inique ed insostenibili: pensa che nelle strutture medie, con il massimo incassabile, quindi con il tutto esaurito parti all’origine con una previsione di deficit.
La soluzione non è quella di aumentare i prezzi dei biglietti, perché poi come vediamo, i palazzi spesso non si riempiono più.
C’è però che noi non possiamo accettare un mercato dopato perché alla fine del gioco noi siamo indipendenti, ancorati sulle nostre reali possibilità, siamo, come gli Artisti, imprenditori veri e se i conti non tornano, non tornano davvero e nessuno a fine giornata li ripiana per noi.
Per questo siamo rimasti una categoria rara in via di estinzione.
Eppure siamo uno dei tasselli fondamentali di questa filiera perché quello che facciamo non è replicabile o delegabile.
E le strutture, soprattutto quelle su cui qualcuno ha fatto investimenti economici e di vita per crearle, per circuitarle e/o per renderle idonee e fruibili per Voi artisti e per il nostro straordinario pubblico.
Lo spettacolo dal vivo non è improvvisazione, non è un’attività amatoriale ed estemporanea, é diventato una professione seria, con tanti rischi di ogni genere e peraltro difficile.
Devi creare una linea di contatto diretto con il pubblico, conoscerlo per strutturarti secondo le sue necessità ed esigenze, non solo artistiche. Devi pensare a pubblici diversi, devi saperli accogliere e rispondere alle loro caratteristiche, devi essere moderno ed aggiornato con le tecnologie, devi essere pronto alle diversità, devi strutturare servizi aperti (per esempio acustica e comfort di livello, traduzione nel linguaggio dei segni, spazi per bambini, alimenti per persone affette da intolleranze…).
Al contempo devi pensare agli Artisti, alla loro accoglienza e al rispetto della loro arte e del loro impegno, garantendo luoghi e spazi idonei ed accoglienti, visto che ogni città e quindi le nostre strutture sono la loro casa per periodi più o meno lunghi.
Un lavoro complesso, integrato dalle relazioni territoriali ed Istituzionali visto che sono un altro elemento essenziale di questo percorso.
Un lavoro fatto di investimenti, anche ingenti, giorno dopo giorno, per l’aggiornamento degli spazi e per preservarli dall’usura.
Se è vero che al Sud forse non ci sono strutture adeguate, pensiamo al tempo stesso che se invece al Nord ci sono, non è casuale: sono la conseguenza sicuramente di un’economia diversa, ma anche di un lavoro, di investimenti, di tempo, di qualità, di risorse, di presidio continuativo e valorizzativo dei territori coinvolti.
Così come per l’indotto: certo, c’è una ricaduta territoriale significativa per le attività commerciali (hotel, bar, ristoranti, negozianti etc) quando si realizzano gli eventi, ma anche in questo caso, non si tratta di opportunità accidentali, anche questa è una conseguenza del lavoro quotidiano, sotto traccia, che i promoters territoriali fanno 365 giorni all’anno, sobbarcandosi oneri, problemi e complicazioni quotidiani.
Non è un lavoro semplice, noi ci abbiamo impiegato più di 20 anni per far capire e per far crescere il consumo dello spettacolo dal vivo, intendendolo come risorsa e come valore aggiunto per una collettività moderna ed europea.
Solo con la continuità, con contenuti variegati e trasversali lo spettacolo dal vivo diventa una fonte di valorizzazione di intere aree geografiche creando benessere, si proprio di quello si parla, per le comunità che le popolano.
Il discorso è comunque corposo, potremmo parlare di tanto ed integrarlo con tante nuove argomentazioni.
Ma voglio concludere con una riflessione personale. Da un punto di vista imprenditoriale ma anche femminile.
Negli ultimi mesi sono stata frullata in una situazione anche mediatica molto impattante.
Ho deciso di espormi non per questioni personali, ma di principio.
Oggi sono al centro di azioni di scredito pesante nei miei confronti con comunicati stampa, come mai avvenuto in precedenza, presenti nelle home page della più grande biglietteria di eventi nazionale e di alcune agenzie di distribuzione. C’è il mio nome, esposto pubblicamente quasi come si faceva nei secoli scorsi nelle esecuzioni in piazza.
E perché? Perché lo scorso Novembre ho deciso di non volermi più sottomettere a regole suicide in un gioco verticistico di avidità e di potere e che per certo ha la sola ed univoca direzione dell’implosione del nostro settore.
E ho denunciato atti inaccettabili e scorretti che violentavano e saccheggiavano di continuo le nostre aziende e la nostra dignità.
Fa sorridere pensare che ci sono io, che in 25 anni ho pensato a costruire un’impresa, quando i soggetti che provano ad infangarmi – peraltro per ragioni e principi che offline, privatamente, loro stessi condividono – hanno speso lo stesso arco temporale anche per costruirsi contenitori allettanti da vendere meglio.
Se si pensa di fermare così una persona determinata ed appassionata di questo lavoro, mi dispiace, è un errore di valutazione.
Dico persona per non specificare volutamente il genere, perché purtroppo anche essere donna in questo mestiere è un limite, perché il ruolo è inscatolato sempre all’ombra di figure maschili.
Hanno provato ad irretirmi con il cliché trivialmente abituale dedicato alle donne.
E che c’è? Lo rifarei da zero, subito, anche se ho trascorso 9 mesi che non augureresti alla peggiore delle persone.
Conosco ogni donna di questo settore e posso testimoniare che ognuna di loro, di noi, anche se relegata in un’apparente seconda linea manageriale, ha un talento ed una forza eccezionali, tanto che tutti sappiamo, anche se non si dice apertamente, che sono i pilastri, le fondamenta di ogni agenzia di musica e di spettacolo italiana.
Anche questo taboo deve finire.
Non sono una paladina dei principi fuori tempo, qualcuno di recente mi ha beffardamente “accusata” di parlare di etica quando invece siamo solo nel bel mezzo di un guerra commerciale.
Sbagliato!
Voglio solo fare il mio lavoro con i valori che mi appartengono, con la mia coerenza di vita e di lavoro e con le competenze che ho imparato con fatica e sacrificio quotidiani, sempre sulle spalle uniche mie e dei miei soci, in 25 anni di attività.
Ne sono orgogliosa e non mi fermo, non ci fermeremo qui.
Saremo sempre e più direttamente a disposizione degli Artisti e del nostro pubblico.
Dott.ssa Valeria Arzenton