Come recita un vecchio proverbio, non tutte le ciambelle riescono con il buco; spesso questa è una realtà difficile da accettare, soprattutto in un mondo come il nostro, basato quasi unicamente sull’apparenza, dove è bello solo ciò che sembra esteticamente perfetto. Di solito le ciambelle senza buco vengono considerate scarti, rifiuti da gettare via, ignorando però una verità lapalissiana: dove non c’è il buco c’è la pasta, si può mangiare di più, quindi il difetto è in realtà un valore aggiunto.
Probabilmente per molti anni anche Francesco Cristofaro, originario di un paesino della provincia di Catanzaro, si è sentito una ciambella senza buco, un compagno di giochi che nessuno voleva solo perché era malfermo sulle gambe e rischiava di cadere a ogni passo; sebbene tutti i suoi parenti non gli abbiano mai fatto mancare l’affetto e l’amore di cui aveva bisogno, il piccolo Francesco non cresceva sereno, sapeva di non poter camminare, correre, giocare o andare in bicicletta come i suoi coetanei e si chiedeva perché: era forse un bambino cattivo?
Cattivo non lo era mai stato, il Signore lo sapeva, ma lui no, continuava a chiedersi che cosa aveva fatto di male per meritare la paraparesi spastica che fino a due anni gli aveva impedito di camminare e che da sempre lo faceva sentire diverso dagli altri; non sapendo che probabilmente la sua condizione derivava dall’essere nato prematuro (al settimo mese di gestazione), piangeva per ore chiuso nella sua stanza, pregava sperando in un miracolo e di notte sognava il momento in cui il suo desiderio si sarebbe finalmente avverato, salvo poi svegliarsi al mattino e accorgersi che purtroppo non era cambiato nulla, la realtà era ancora lì, immobile e crudele.
Nei lunghi e dolorosi anni dell’infanzia e dell’adolescenza, il pensiero di Francesco (come anche quello dei suoi familiari, che lo vedevano soffrire e si sentivano impotenti) era rivolto unicamente alla guarigione fisica e forse anche la sua fede, che gli dava la forza di percorrere diversi chilometri a piedi per partecipare alla Messa domenicale, era finalizzata a ottenere questa grazia, almeno in un primo periodo.
Ma fortunatamente le vie del Signore sono infinite e così nel 1993, a soli quattordici anni, arriva la svolta; dopo aver frequentato per qualche tempo una catechesi sul Vangelo tenuta da alcuni sacerdoti appartenenti al Movimento Apostolico, questo ragazzo triste viene invitato a partecipare a un incontro di spiritualità del Movimento stesso e quindi ha modo di ascoltare personalmente le parole della signora Maria Marino, che ne è ispiratrice e fondatrice: “Mettiamoci tutti sotto il manto della Madonnina. Lei è Madre e si prenderà cura di noi.”. A quest’esortazione, il giovane alza lo sguardo verso l’altare dove si trova la statua della Madonna del Carmine e con gli occhi lucidi Le domanda se sotto al Suo manto c’è posto anche per lui; evidentemente riceve una risposta affermativa, visto che da allora in poi decide di cambiare il tenore delle sue preghiere, non chiederà più il miracolo della guarigione fisica, bensì quello di riuscire ad amare la propria vita e quella degli altri in ogni modo e con ogni mezzo a disposizione.
Le sue preghiere vengono esaudite da quando per lui si apre la via del sacerdozio; la vocazione si manifesta per la prima volta verso i diciassette anni, in un giorno apparentemente qualunque: il ragazzo si trova nel giardino di casa e rilegge il libretto della Prima Comunione, alle parole “Prendete, questo è il mio corpo. […] Prendete, questo è il mio sangue.” prova un brivido particolare, così alza gli occhi al cielo e chiede direttamente a Gesù quali sono i Suoi progetti per lui. Da allora avverte il desiderio di entrare in seminario per consacrare la sua vita a Dio e ai fratelli, quindi presenta la domanda di ammissione, prontamente accolta dall’Arcivescovo di Catanzaro, Monsignor Antonio Cantisani.
Il giovane non vede l’ora di iniziare questo nuovo percorso, nella certezza che lo cambierà per sempre, donandogli una forza e una felicità impossibili da trovare altrimenti, ma la sua condizione fisica, o meglio la mancata accettazione di essa, sembra volerlo ostacolare ancora; al raggiungimento della maggior età sono necessari due interventi chirurgici per allungare i tendini delle gambe e sperare così di poter finalmente camminare a passo sicuro, come tutti gli altri. Quando arriva il momento, l’aspirante sacerdote si reca a Milano e si sottopone di buon grado a entrambe le operazioni, che si riveleranno più lunghe e dolorose del previsto, soprattutto per fare felici i suoi genitori, che già pregustano la festa da celebrare una volta rientrati a casa; in cuor suo Francesco sa di non poter guarire, perché il Signore ha bisogno di lui così com’è, perfetto nella sua imperfezione, perciò non si stupisce quando dopo gli interventi si rimette in piedi e dagli occhi inespressivi del padre capisce che non è cambiato nulla, che lui rimarrà sempre e comunque un disabile, una ciambella senza buco.
Queste vicende ritardano di un anno l’inizio del progetto di vita che Dio ha in serbo per lui, ma non frenano il suo entusiasmo, né affievoliscono la sua fede; in seminario, seppur lontano da casa e senza la protezione e la sicurezza degli affetti più cari, non incontra particolari difficoltà, anzi trova dei compagni di corso eccezionali, che condividono con lui un cammino di formazione e preghiera senza badare all’incertezza dei suoi passi. Al termine di questo percorso, lungo circa nove anni, arriva finalmente l’ordinazione sacerdotale, il 9 aprile 2006; in quel giorno meraviglioso, il più bello della sua vita, don Francesco Cristofaro si sente ancora più piccolo davanti alla grandezza di Dio, che miracolosamente è riuscito a spazzare via i cattivi pensieri di un’intera esistenza e a trasformarlo in un uomo nuovo, capace addirittura di sorridere.
Ormai don Francesco indossa la tonaca da quasi tre lustri ed è un sacerdote sereno e felice, che svolge il proprio ministero nella Parrocchia “Santa Maria Assunta” in Simeri Crichi (una realtà pastorale del catanzarese molto attiva e vivace, sebbene accolga poco più di cento anime), ma si sente parroco del mondo e si impegna ad annunciare il Vangelo con ogni mezzo disponibile; per raggiungere quest’obbiettivo ha già scritto diversi libri, ha ideato e condotto alcune trasmissioni televisive, gestisce una pagina Facebook, un profilo Instagram, un account Twitter e un canale Youtube, inoltre da pochi giorni (grazie alla generosità di un amico webmaster) dispone di un proprio sito internet, che permette a chiunque lo desideri di conoscere meglio la sua storia ed eventualmente di entrare in contatto con lui per scambiare idee, condividere esperienze o esprimere intenzioni di preghiera.
Le moderne tecnologie portano don Francesco laddove le sue gambe non potrebbero arrivare neppure volendo e gli consentono di parlare ai cuori della gente nonostante la sua disabilità; così si realizza il disegno del Signore per lui, un progetto al quale egli si è per tanto tempo inconsapevolmente e inutilmente ribellato, ma che ha preso forma dal momento in cui ha deciso di provare a cambiare prospettiva, iniziando a guardare sé stesso con gli occhi di Dio piuttosto che con quelli del mondo. Agli occhi del mondo Francesco Cristofaro era sempre stato uno scarto, una ciambella senza buco che non era degna di stare insieme alle altre; agli occhi di Dio invece, Francesco Cristofaro (nel frattempo diventato don) era ed è tutt’ora una risorsa unica e preziosa, perché guarda caso è proprio di quel pezzetto di pasta in più, di quel “buco non buco”, che il Signore si serve ogni giorno per regalare il Suo sorriso a tutti coloro che lo cercano.
In conclusione, con la sua vitalità ed energia il sacerdote calabrese è l’esempio vivente di come il destino di ognuno di noi sia già scritto; il libero arbitrio esiste, ma in ultima istanza possiamo soltanto assecondare la volontà di quell’Essere superiore che per noi credenti è Dio, un Padre misericordioso che agisce sempre per il nostro bene e che non ci abbandona mai, neppure quando perdiamo la speranza e ci sentiamo completamente inutili. Per quanto possa sembrare paradossale, è proprio nei momenti di maggior sconforto che dobbiamo avere il coraggio di pregare e affidarci totalmente al Signore, diventando Suoi strumenti affinché Egli compia in noi, per noi e attraverso noi il Suo più grande miracolo, rendendo ognuno di noi un vero e proprio capolavoro, un’opera d’arte che poi ammirerà dall’alto con un sorriso compiaciuto!