Sinossi e devastazione
è l’ora delle medicine
ma la badante non mi guarda
non c’è
pensa alla guerra
le menti di filo spinato
ingoiate dal buio
dei loro disagi
indifferente bufera
pioggia di pensieri a mano armata
desideri a baionetta
di cui nessuno può più scrivere niente
niente luce, niente di niente
soffocate le parole
e tutte cose che non si scrivono
è persa l’umanità
tranne per chi conduce l’abominio
mentre tutto scappa
il bambino col gatto nello zaino
è l’unico faro
nella metro masticata
senza soluzione.
Solo il silenzio può esprimere
quello che vedo
negli occhi della mia badante.
Dario Meneghetti
Da oltre un mese gli occhi del mondo sono puntati sull’Ucraina, una terra che probabilmente fino a poco tempo fa molti di noi conoscevano soltanto come “terra di badanti” e che ora purtroppo è sferzata da una “indifferente bufera/pioggia di pensieri a mano armata/desideri a baionetta/di cui nessuno può più scrivere niente”. Di simili pensieri e desideri non si può scrivere o parlare facilmente, perché nella loro potenza devastante sono intimi, profondi e ineffabili, trapelano da uno sguardo ma non escono allo scoperto, farli uscire sarebbe veramente troppo doloroso.
Questi sono i pensieri di chi vive quotidianamente una guerra: che si tratti di un soldato che rischia la vita al fronte, di una moglie che prega aspettando con ansia il ritorno dell’amato, o di una madre che può soltanto incollarsi alla TV perché da anni ha lasciato il suo Paese per cercare lavoro altrove (magari proprio in Italia come badante) poco cambia, il dolore è lo stesso per tutti, sebbene poi ciascuno lo metabolizzi e lo esprima a modo suo.
Purtroppo Dario Meneghetti lo sa bene, perché dall’inizio del conflitto non passa giorno senza che lui veda la pena silenziosa negli occhi della sua badante, ma anche perché da quasi dieci anni sta combattendo lui stesso una guerra, seppure di tipo diverso; il suo nemico è la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), che ha invaso il suo corpo dal 2013 e che da allora non ha mai smesso di guadagnare terreno, nonostante Dario stia provando a tenerle testa con tutte le sue forze.
In tempo di pace Meneghetti lavorava come tenore primo nel coro del Teatro La Fenice di Venezia e si sentiva un uomo felice, che dopo tanti sacrifici era riuscito a coronare il suo sogno; un brutto giorno però, il nemico iniziò ad attaccare, dapprima provocandogli un fastidioso e apparentemente inspiegabile tremolio alle mani, poi con altri sintomi via via più importanti, che richiedevano di essere studiati attentamente. Così venne programmato un ricovero esplorativo e in quella circostanza arrivò la diagnosi, una vera e propria bomba, che avrebbe sconvolto chiunque; ebbene, potrà sembrare strano, ma dopo la deflagrazione il cantante veneziano rimase freddo e distaccato, quasi come se il problema non lo riguardasse, in fondo certe cose succedono solo agli altri, no?
I mesi immediatamente successivi alla diagnosi furono piuttosto surreali, mentre il diretto interessato si mostrava improvvisamente saggio e prodigo di consigli, i suoi amici più cari prendevano d’assalto il web alla ricerca di notizie su questa famigerata malattia, ma soprattutto di possibili cure (che purtroppo non esistono nemmeno oggi); l’umore era altalenante e bastava un attimo, il tempo di un pensiero, perché l’atmosfera allegra e scherzosa di una serata in compagnia venisse rovinata dall’incombere della nuova e sconvolgente realtà che Dario doveva affrontare.
Sin da subito il nemico si mostrò tosto e determinato a vincere, già nel 2015 il tenore dovette abbandonare la sua professione, ma non la sua passione; quella esiste ancora, anzi, potremmo dire che la malattia gliel’ha fatta riscoprire, seppur declinata in maniera diversa. Quando calcava il palcoscenico, Dario dava voce a parole scritte da altri e le interpretava seguendo la musica; invece dal 2013 (e ancor più in questi ultimi due anni, ovvero da quando il progredire della malattia gli ha gradualmente ma inesorabilmente tolto la possibilità di parlare), scrive parole sue affidandosi alla poesia per renderle musicali.
In realtà, la scrittura era una sua passione già molto tempo prima dell’incontro con la SLA, basti pensare che sin dalla fine degli anni Novanta Dario si divertiva a giocare con la lingua italiana firmando componimenti piuttosto fantasiosi sulle pagine de “L’Imbranauta”, una fanzine che aveva ideato insieme ad alcuni amici e che è tutt’ora esistente (la versione cartacea è stata rimpiazzata da quella digitale, che è appunto raggiungibile dal link riportato qui sopra). Nel periodo immediatamente successivo alla diagnosi, scrivere sulla rivista era l’unica attività capace di distrarlo, allontanandolo per un po’ dalla drammaticità della sua situazione; poco importava se la mobilità delle mani l’aveva già abbandonato, costringendolo a scrivere con la punta del naso, si faceva mettere il telefono sul tavolo davanti a sé e schiacciava i tasti “picchiettando come le galline quando mangiano”. Utilizzando questa tecnica riuscì a pubblicare ben tre libri, poi però decise di dedicarsi di più alla poesia, che forse gli consentiva di esprimere meglio la sua vena artistica e di analizzare in modo più introspettivo la sua condizione.
Oggi Dario Meneghetti vive a San Donà di Piave (VE) insieme alla madre e a tre badanti, che lo assistono 24 ore su 24, cercando di rendergli la vita il più confortevole possibile, sebbene in una situazione degenerativa come la sua il comfort sia ormai solo un lontano ricordo; da anni è immobilizzato a letto e comunica attraverso un puntatore oculare, da qualche tempo ha anche la tracheostomia che gli permette di respirare meglio, apparentemente il suo destino è segnato, ma in lui e per lui rimane ancora la speranza che si trovi al più presto una cura per le malattie neurodegenerative. Nel frattempo ogni fibra del suo essere è impegnata a vivere al massimo delle sue potenzialità e possibilità, perché Dario è fermamente convinto che la SLA non lo riguardi, ovvero riguardi il suo fisico ma non l’essenza della sua persona.
Forse ognuno di noi, compresa io che scrivo, dovrebbe seguire l’esempio di questo tenore -poeta e cercare di vivere sempre appieno, dando significato a ogni gesto, ogni parola, ogni momento; e non dovrebbe importarci se per una ragione o l’altra i nostri gesti, le parole che pronunciamo o scriviamo, gli attimi che viviamo, non rientrano nello standard di uno schema prestabilito. Ciò che conta è che si tratta di gesti, parole e istanti solo nostri, unici e irripetibili proprio perché scaturiti da noi, che indipendentemente dalle condizioni nelle quali di volta in volta ci troviamo (spesso nostro malgrado), siamo e rimaniamo comunque persone, individui la cui anima viene attraversata e plasmata dai millemila suoni (o forse sarebbe più giusto dire vibrazioni) della vita.