La scomparsa di Giovanni Patat d’Artegna induce a molte riflessioni e a studi che potranno essere nei prossimi mesi e negli anni futuri approfonditi. Vorrei anche io ricordare lo scultore per la potenza espressiva che lascia nella sua opera, tutta tesa a raccogliere la natura e il suo messaggio , coniugando questa materia con un pensiero in un ‘unicità carica di tensione , di aspettativa, di annuncio. La tensione stava nella scelta del materiale e nell’utilizzo di esso, nello scavo nella materia, nella fatica fisica alla ricerca del risultato. La aspettativa era appunto l’oggetto , il risultato definitivo, oltre il pensato, il corpo materiale e monumentale, la forza espressiva . L’annuncio era il messaggio che voleva dare, la notizia che parlava oltre il muto determinato della pietra, il racconto, laico e storico biblico . Nelle opere nelle quali ha prevalso la figurazione immediatamente leggibile, il racconto è stato potente, lucido , storicamente indiscutibile. Dalle opere in cui ha prevalso la sua riflessione individuale , silenziosa, probabilmente sedimentata nei dolori delle non risposte della vita e della conoscenza, pervengono a noi grandi punti interrogativi.
Qualche volta il rapporto vuoto -pieno scava la materia come fa l’acqua , lasciando tracce o solchi, aperture che aprono sguardi, finestre esistenziali, silenzi e sottaciute scoperte.
Lasciando ad altra riflessione l’analisi di molte delle opere che la nostra comunità possiede con questa eredità, mi soffermo qui, non dimenticando l’uomo , la sua riservatezza, la sua ospitalità , la sua lucida rilettura della storia politica, anche quella piu’ scomoda e non sempre facile da decifrare in sintesi che lasciano sempre traccia del loro limite.
Certamente del grande Giovanni Patat d’Artegna continueremo a parlare e a scrivere, noi tutti che lo abbiamo amato e conosciuto .
Vito Sutto