Un avvincente racconto per immagini di enorme valore storico- documentario ci restituisce luoghi, paesaggi, costumi e ambienti ormai scomparsi
Spilimbergo, 12 marzo 2024 – È dedicata a Piero Vanni, medico fotografo di origini toscane che prestò servizio in Valcellina fra il 1912 e il 1913, la nuova mostra del CRAF – Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia che sarà ospitata a Palazzo Tadea di Spilimbergo dal 22 marzo al 28 aprile 2024.
L’esposizione, dal titolo L’occhio che guarda è un organo educato, porta all’attenzione del pubblico oltre sessanta fotografie provenienti da un fondo acquisito dal CRAF nel 2016 da un nipote di Piero Vanni, Giovanni Cavani; fotografie che si rivelano particolarmente significative dal punto di vista culturale, antropologico e sociale poiché si fanno testimonianza viva di usanze, costumi e ambienti di un Friuli ormai scomparso.
La mostra, realizzata dal CRAF in collaborazione con Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Comune di Spilimbergo, ICPAL, con il sostegno di Fondazione Friuli e il patrocinio dell’Università degli Studi di Udine, sarà inaugurata venerdì 22 marzo alle ore 18.00. L’inaugurazione sarà preceduta in mattinata da un incontro di esperti cui parteciperà anche Luca Caburlotto, Soprintendente dei Beni archivistici della Regione FVG e, nel pomeriggio, da un laboratorio fotografico.
“L’occhio che guarda è un organo educato” è un racconto per immagini dell’avventura umana e professionale di Piero Vanni (Firenze 1884 – Modena 1939). Laureatosi in medicina a Modena nel 1909, unì all’impegno scientifico una forte propensione verso le arti, la musica, la letteratura e soprattutto la fotografia. Trasferitosi nel 1912 come medico condotto tra le montagne friulane e nello specifico nei comuni di Barcis e Andreis, rimase in Friuli fino all’aprile del 1913: pochi mesi ma sufficienti per regalarci, attraverso le sue fotografie, quadri animati di luoghi e persone che all’indubbio paradigma estetico uniscono una forte valenza documentale.
La produzione iconica di Vanni risulta, ad un attento esame, estremamente densa di contenuti. Nelle immagini che a prima vista potrebbero sembrare simili a cartoline di paesaggio, o di architettura rurale, o ancora di scene di genere, di piazze e di fontane, in realtà si possono ritrovare particolari tipologie abitative, strutture architettoniche, le funzioni dei diversi ambienti domestici, gli strumenti di lavoro che sottintendono tutta una complessa e simbolica realtà sociale. Le fotografie di architettura rurale di Vanni offrono pertanto un decisivo contributo alla ricostruzione storica e ambientale del costruito inserito e perfettamente integrato nell’ambiente. Non c’è quasi mai compiacimento estetico ma piuttosto ricerca del necessario; le immagini esprimono questa grande capacità di comunicazione e dialogo con l’ambiente, la naturale relazione tra l’uomo, lo spazio insediativo e le sue risorse. Guardate oggi, a più di un secolo di distanza, fissano temporalmente un contesto oramai quasi del tutto compromesso e, per questo, assumono un enorme valore storico–documentario.
Il progetto di questa mostra è un attento binomio tra la sezione archivio del CRAF (digitalizzazione, conservazione e catalogazione), che insieme all’ICPAL di Roma ha curato la parte scientifica e la gestione della mostra che vuole essere soprattutto didattica senza tralasciare l’estetica delle sperimentazioni fotografiche di Piero Vanni.
Lo sguardo di Vanni ci regala una delicata ma equilibrata congiunzione dialettica tra elemento documentario ed elemento estetico; siamo indotti a soffermarci con lentezza e rinnovata consapevolezza su un paesaggio quotidiano evocante memoria e al contempo mistero. All’aspetto più propriamente iconografico va però sempre connessa anche l’attitudine alla ricerca scientifica, particolarmente evidente nella meticolosa applicazione di processi di stampa (gomme bicromate, carbone ecc.) e nelle innumerevoli varianti metodologiche annotate minuziosamente sui versi delle stampe fotografiche.