Carmen Consoli fa tappa a Trieste col suo Tour mondiale “Terra Ca Nun senti”, il concerto-evento con cui omaggia la tradizione musicale siciliana. La formazione, così come il palco, è minimalista: Gemino Calà ai flauti etnici, Adriano Murania al violino e Massimo Roccaforte alle chitarre e mandolino. La parte percussiva è demandata in parte alla voce e al battere sulla cassa della chitarra acustica, magistralmente suonata dalla cantautrice siciliana. È un viaggio nella Sicilia autentica, fra bellezze e contraddizioni, in cui alla fine vincono l’amore incondizionato e l’orgoglio di appartenenza fra ciò che è stato e ciò che sarà: “si chiude una porta e si apre un portone” citando nonna Carmelina e l’incrollabile fiducia nel fato, quel divenire che l’ideale proattivo siciliano può rendere migliore. Il concerto si apre con Calà che attraversa il pubblico suonando la cornamusa, proiettandoci in un tempo sospeso fra Pan e Bacco. Poi attacca Carmen e la sua voce da contralto purissimo e profondo, le corde di chitarra pizzicate, ci introducono fra le pieghe nascoste della musica folk della Trinacria. Fin da subito si palesano rispetto, passione e rabbia, dolcezza e profondità. Rende onore a Rosa Balistreri (la cantautrice della mala fortuna) e ne riconsegna l’opera al nuovo secolo: “Terra ca nun senti” è un’interpretazione di primissimo livello, sia vocalmente che come arrangiamenti. È un alternarsi fra l’intimismo del cantautorato d’autore -con i suoi affreschi malati e vivaci- e la furia rock che la potenza della sua voce “educa” ma non contiene. Con la performance a cui abbiamo assistito, reclama di diritto un posto fra i migliori cantautori del panorama italiano, al fianco di altri grandi a cui nulla ha da invidiare. Rispolvera i suoi capolavori, con orgoglio. Trema l’anima con “Fiori d’arancio” e termina con l’omaggio sincero all’amico/mentore Battiato. Il resto è un omaggio al pubblico, per lasciarsi bene, con la sincera ospitalità siciliana e l’augurio di poterla rivedere presto.