Due spettacoli a Festil hanno impreziosito un’altra serata nella piccola deliziosa sala San Giorgio a Udine.
Il primo, superlativo, Faccine con Kenji Shinohe, che ha dato espressione a mille volti, che ha presentato centinaia di nasi e di occhi, di bocche contraffatte, offrendoci i tanti possibili discorsi senza parole, senza pronunciamenti ne’ segni scritti.
Una civiltà questa in cui il telefonino ha rotto ogni schema di comunicazione, rendendo tutto semplificato e superficiale, banale ed espressivo di un emotivo collettivo che cancella l’individualità. Che fare allora, naturalmente riprendersi l’io con le nostre espressioni del volto, quelle che la funzione dello strumento ha reso inanimata , fredda e anonima.
Un volto contraffatto da un artista allora restituisce quell’umano che c’e’ in noi a noi stessi , perche’ il nostro corpo non è anonimo e impersonale come un tocco alla tastiera che puo’ indicare vuote preghiere, saluti, tristezza o umorismo.
La portata del messaggio di Faccine potrebbe essere addirittura una denuncia dell’anonimia, la rivoluzione dell’io nei confronti della tecnologia spersonalizzante , vuota e ruvida al tempo stesso.
Vorrei gridare in silenzio con Kenji: non mandatemi questi segnali, teneteveli, preferisco uno spettacolo muto. A questo attore mancavano le scarpe , anche questo a nostro giudizio è severa denuncia di una civiltà che non sa essere nemmeno pantofolaia, perche’ la pantofola è un passaggio in piu’, una capacità maggiore, quanto meno di salvare l’io domestico.
Con i calzini l’io spersonalizzato viaggia senza moti del corpo, senza ali , eventualmente scivola…e basta.
Il secondo spettacolo ci porta in una scuola di ballo dove deve essere rappresentata la storia della bella Addormentata nel bosco.
Cinque giovani ballano mirabilmente, l’uno piu’ potentemente dell’altro, esprimendo personalità e talento. Una voce fuori campo li richiama ad un frustrante atteggiamento di sudditanza alla forma, fino al punto che essi silenziosamente si ribellano ballando la loro libertà con grandissima allegria.
Questo secondo spettacolo vivo e felice, colorato e multiplo, è tuttavia meno intenso e riflessivo rispetto al primo. Ci è piaciuto poco il riferimento alle generazioni piu’ vecchie che snobbano quelle giovani che del resto hanno costruito loro stesse. Un luogo comune che ha alleggerito e anche un po’ banalizzato le cause profonde delle diversità generazionali.
Quando si vuole fare antiretorica ad ogni costo si va a finire che si diventa retorici .
Bravissimi pero’ i danzatori Eleonora Greco, Nicolas Grimaldi Capitello, Leopoldo Guadagno , Francesco Russo e Roberta Zavino, che ci fanno dimenticare alcune debolezze del testo.
Vito Sutto