Eliminare l’odioso balzello dell’Irap, che facilita la delocalizzazione e non crea certo occupazione nel Paese, e studiare piuttosto una Patrimoniale che recuperi soldi laddove ci sono. Il presidente dell’API di Udine Massimo Paniccia, oggi in conferenza stampa nella sede dell’associazione, ha ribadito la necessità di abolire il costo sul lavoro invitando la Regione ad aumentare il debito, in FVG pari a un quinto rispetto al dato nazionale, stanziando così risorse che delimitino gli effetti negativi del Patto di stabilità; investendo sullo sviluppo delle imprese, infatti, in primis sulla riqualificazione urbana e sul comparto trainante dell’edilizia, si creano consumi e quindi un percorso virtuoso a beneficio della Regione stessa. “L’Irap penalizza troppo le aziende, che la pagano sul lavoro e non sull’utile, un balzello inaccettabile – ha detto Paniccia. -. Ci aspettiamo dalla Regione, visto il suo basso debito, che incentivi lo sviluppo e parli di investimenti”.
Paniccia ha poi commentato l’indagine sulla crisi economica e finanziaria “Come si chiude il 2012: le aspettative degli imprenditori. La percezione e l’atteggiamento del piccolo e medio imprenditore verso la crisi in atto”, condotta dall’API di Udine su un campione di 221 imprese friulane dei comparti Manifatturiero (settore che comprende meccanica ed elettromeccanica, legno e arredo, chimica, gomma, plastica, vetro, grafico-editoriale, cartario, alimentare, tessile, abbigliamento, pelli, calzature, che in totale rappresenta il 54% delle aziende consultate ai fini dell’indagine), Costruzioni e Materiali da costruzione, Logistica e Trasporti, Servizi all’industria. Si parte da un dato negativo: il 12% ritiene di non avere più futuro; per contro, oltre la metà è disposta a mettersi in discussione circa il proprio modo di fare impresa, magari guardando a formule di aggregazione.
Uno degli esiti più significativi è che gli imprenditori friulani dimostrano più fiducia nelle capacità di recupero, o di tenuta, della propria azienda che in quelle del Paese. Gli imprenditori sono infatti convinti di poter superare, anche se non a breve, l’attuale stato di crisi con le proprie forze o con le energie che il settore privato esprime; la ripresa o la stabilizzazione della propria impresa è possibile per l’88% degli intervistati, mentre si è perso fiducia nel “sistema Paese” (il 77% si dichiara incerto, il 15% ritiene addirittura che la situazione non sia più recuperabile), almeno nelle capacità che questo può ancora esprimere per fronteggiare la crisi. A conferma di ciò, molti (67%) non sembrano più disposti ad affrontare sacrifici nell’interesse generale del paese.
La maggior parte degli imprenditori (87%), in ogni caso, si rende conto che è necessario un mutamento di mentalità imprenditoriale che comporti anche la disponibilità a cambiare, innovarsi, aggregare o aggregarsi, a vantaggio di una collaborazione con altre imprese. Ben il 94% delle piccole e medie imprese friulane, inoltre, dichiara di impegnarsi personalmente ad essere puntuali e rigorosi nei pagamenti, evitando così gli effetti negativi a cascata che si producono da impresa a impresa a causa dei ritardi dei pagamenti. Quanto all’andamento complessivo del 2012, rispetto al 2011, l’anno è risultato migliore solo per il 17% delle imprese intervistate appartenenti al comparto Manifatturiero, per il 4% del del comparto delle Costruzioni e dei Materiali da costruzione, per il 9% del settore Trasporto e Logistica e per il 12% dei Servizi all’Industria.
L’auspicio, stando ai risultati dell’indagine effettuata dall’A.P.I. di Udine, è che – posta come premessa l’impegno e il senso di responsabilità degli imprenditori nello sviluppare la loro attività, nel creare lavoro, nell’investire, nell’innovare per fare crescere e rendere più competitive le imprese e il sistema economico-produttivo – anche le istituzioni si adoperino a riguadagnare la fiducia perduta verso la parte più attiva e produttiva del Paese, dando così, insieme, nei comportamenti una rapida e chiara sensazione che tutti sono disposti a compiere i sacrifici, il settore privato, l’intero sistema pubblico e società politica, questi ultimi adottando misure che agiscano non più in via esclusiva sul versante delle entrate, ma anche sulla razionalizzazione delle spese e, soprattutto, sapendosi riformare come le imprese riformano se stesse.