In Europa la guerra civile siriana sembra quasi un tabù. Se ne parla di rado e i segnali che lanciano i social network, spesso accompagnati da crude foto di poveri bambini uccisi, vengono come rimmossi: le democrazie occidentali appaiono immobili davanti a questa tragedia. Intanto Iran e Russia non fanno mistero di sostenere il regime di Assad, mentre solo i Paesi arabi e la Turchia riforniscono i ribelli già da due anni di tutto ciò che essi necessitano.
Ma cosa sta succedendo in quella affascinante terra, lacerata da “una dittatura che ha costruito un muro di paura”? Così definisce il regime Eva Ziedan, dottoranda all’Università di Udine, ospite assieme a Sandro Minisini, docente udinese di Italiano e Latino, dell’ultima serata organizzata dal Lions Club Udine Host. Ziedan, laureata a Damasco in Archeologia, impegnata in convegni di sensibilizzazione sul problema siriano per cui auspica una soluzione non violenta, afferma che lì “si vive senza dignità: non si può più parlare di politica, di cultura. Il regime vuole portarci alle armi, ma la nostra è una manifestazone pacifica. I fondamentalisti non fanno parte del nostro tessuto sociale e non hanno mai avuto base in Siria, stanno solo sfruttando il momento”. Eva si duole per il silenzio dei mass media internazionali: “si interessano della Siria solo quando muore un giornalista straniero. Forse perché noi non abbiamo il petrolio ma solo la cultura”.
“Purtroppo – ha aggiunto il prof. Minisini, che ha vissuto per 3 anni ad Aleppo, definita la “Milano” della Siria – tra i ribelli non vi sono leader o personalità in grado di convincere l’occidente delle loro ragioni. In Siria, terra di mercanti imbattibili, il regime totalitario ha distrutto, come fecero nazismo e stalinismo, ogni opposizione possibile. Il dittatore passato come il “modernizzatore” è invece l’erede di 50 anni di pugno di ferro e sangue, di una guerra silenziosa e occulta. Questo regime è forte perché è super armato, più di tutto il Medio-oriente; è implacabile e scaltro, capace di occultare la sua faccia poliziesca sotto una forma paternalistica, stabilendo accordi mafiosi”.
“Molti soldati sono scappati perché si rifiutavano di uccidere i loro fratelli”, hanno raccontato ai soci Lions i due relatori. La Siria, terra multiculturale, ha visto convivere per secoli popoli e religioni diverse. Oggi ci sono 5 milioni di profughi, e chi resta non può far altro che scappare da un quartiere all’altro per sfuggire ai cecchini. Non c’è acqua, nè elettricità. Intervenire dall’esterno è difficile: Usa, Francia e Inghilterra appoggiano la rivoluzione dei ribelli, ma per loro entrare nel conflitto significherebbe far scoppiare una guerra internazionale. “E la Siria non è la Libia di Gheddafi, arretrata e disorganizzata – ha puntualizzato il docente -, questo regime è costruito ed agisce preventivamente con una perfidia e una perfezione inimmaginabili, facendo sparire migliaia di persone in carceri segrete”. I ribelli non nutrono odio per nessuno, ha ribadito l’ospite siriana, vogliono solo opporsi al regime di Assad e vivere in libertà e democrazia.
Il toccante racconto dei relatori ha molto colpito i soci del Lions, intervenuti con domande e suggerimenti. Doverosi i ringraziamenti da parte del presidente Carlo Brunetti per aver avuto modo di venire a conoscenza più da vicino di questo spaccato doloroso della civiltà siriana, coinvolta in una guerra, ad oggi, combattuta in solitudine.