Sono tornata a casa da pochissimo dopo l’ennesima triturata di emozioni bianconere. Mi sento un pezzo di carne di maiale che diventa ragù in un batter d’occhio. Non ho più forze fisiche perché risento ancora della trasferta magica di san Siro. Ma ho tanto da dire che mi esce da tutte le parti. Come una botte di vino rosso sconquassata in una stiva di nave durante un naufragio. Zampilla sanguinante da tutte le parti. Così le mie emozioni fuoriescono impulsive e cantate. Come una melodia armoniosa di felicità. Eravamo tanti e ancora una volta sotto lo stesso cielo: un cielo matto di maggio protetti dall’abbraccio protettivo dell’Arco.
Eravamo lì per festeggiare l’ennesima meraviglia dell’Udinese. Sessantasei punti, una nuova Europa in una volata finale da campioni. Eravamo lì per ringraziare gli artefici del miracolo Udinese: tutti da portare in trionfo per le strade della vita su una corriera a cielo aperto per guardare di nuovo le stelle. Ormai ci siamo abituati ma è sempre più bello.
Ieri il Paron Pozzo ha dichiarato che questa Europa è la più bella perché la più sofferta. Me lo vedo strabuzzare gli occhi con un sorriso beffardo guardando i suoi omologhi con il blec. Lui, uno Zeus bellissimo, barba e occhiali da lord inglese, elegante sempre. Lui che ha l’età di mio padre e che amo come se lo fosse realmente. Perché lo difendevo diciassettenne quando tifare Udinese era un atto di coraggio, non una moda. Non eravamo nessuno, fra A e B. Ma lui è lì da allora e troneggia sorridente senza perdere l’inflessione da friulano vero. Perché lui lo è. Grazie Presidente Pozzo, prima o poi la incontrerò per scambiare quattro chiacchiere di ammirazione e affetto.
Sul palco salgono tutti i protagonisti: i campioni – un turbinio di lingue, colori, modi di vestire, portamenti. Alcuni non saranno più con noi alla ripresa delle ostilità ma oggi sono tutti protagonisti, nessun ruolo secondario. Dirigenti, magazzinieri, staff tecnico.
E lui, il tecnico delle quattro Europe, acclamato con un boato che accomuna tutti: Francesco Guidolin là, là, là, là. Lo vedo ancora braccia al cielo al fischio dell’arbitro dopo la prestazione “Royal Deluxe” di domenica sera. Parla poco lui ma si esprime con gesti toccanti: “ Da quindici anni si è creato un feeling speciale e magico con questo territorio. I tifosi provano questo affetto e anch’io lo provo”. E la mano va sul cuore. Non servono ricami, luccichini, non serve arte oratoria. Quest’uomo semplice va al cuore perché parla la nostra stessa lingua. Potremmo capirci anche nel deserto con i silenzi e il senso del lavoro che ci accomunano. “Quest’anno non posso dire che non mi abbiano cercato ma io resto qui”. Basta poco, non serve altro. L’ha promesso, il Guido.
Prima della presentazione all’americana ho tremato come una foglia, non per il freddo ma per risentire l’inno storico cantato da Dario Zampa Alè Udin del 1979, primo anno di serie A. E’ come sentire la voce della mamma. Calda, accogliente. Ti ci riconosci. E fa ben, tanto bene. Poi i filmati dei Fogolars Furlans nel mondo, dalla Cina, all’Argentina, dal Canada alla Svizzera. Anche qui si esprimeva in friulano l’attaccamento per la Patria lontana e l’amore per l’Udinese che ci fa grandi nel mondo. C’è chi mi ha riso quando più volte ho detto Udinese Patrimonio dell’Umanità. Beh amici. Ditemi se non è così. Quando sale Pozzo i cori non cessano. Mi sento fortunata a vivere questo momento. Quante volte l’ho vissuto grazie a te, mia Udinese. E quante volte lo rivivrò. Ne sono sicura.
Il clou per quanto mi riguarda: l’abbraccio di Pozzo, Guidolin e Di Natale con in mano una sciarpa bianconera. Li univa, li legava. Passato e futuro. Trionfo e progetto. L’anima della mia Udinese sono loro. L’ho detto altre volte. La mia Udinese. Chi mi regala dei sogni sarà sempre nel mio cuore. Loro hanno un posto in prima fila e per sempre.
E poi, e nulla avviene per caso, ero seduta con la mia amica storica di tanti anni in tribuna quando eravamo due ragazzine. Nella nostra tribuna; l’ho beccata fra migliaia di persone, pur non essendo un’aquila. E ci siamo sedute insieme vivendo insieme questo momento magico. Ma il bello è che per la sottoscritta magici erano anche quegli anni sventurati di saliscendi. Oggi è come se fossimo due donne con lo spirito di due adolescenti.Con lo stesso entusiasmo, io un po’ più curva e smilza.
Prima di andare a casa da sinistra sbuca uno scavatore giallo con due bandiere al vento: una dell’Udinese e una dell’aquila del Friuli. Tutto il palco assiste al suo ingresso con la solennità di una marcia verso l’altare. Sono sicura che le lacrime di Pozzo erano le mie, erano le nostre. Hai fatto tanta strada Udinese, tanta. E qui si distrugge per costruire un nuovo miracolo. E la ferrea mano meccanica si addentra nella terra tenera del campo dello Stadio Friuli. Qui si fa la storia bianconera. Sotto lo stesso cielo. Ne hai fatta di strada Udinese. Grazie di esistere.
BMG