25 maggio 2016 – Dal 30 maggio e per un anno il Museo Etnografico Friulano si arricchisce di un nuovo allestimento, all’interno della sala dedicata alla “tradizione friulana del mobile”. Un allestimento speciale a rotazione con lo scopo di illustrare, attraverso i mobili antichi, gli usi e i costumi del tempo. Il tema scelto per quest’anno è quello della nascita, tramite l’oggetto simbolico della culla. Ogni cultura ha infatti un rito di accoglimento di un nuovo nato: la culla, nata con l’intento di riprodurre la sensazione fetale del movimento vissuta dal neonato nel grembo materno, isola il bambino e lo protegge. L’origine della culla non è egualmente diffusa in tutti i paesi del mondo; in Europa il suo uso è antichissimo (dal latino cuna; cunarius o cunaria era la persona preposta a far dondolare la culla).
L’esposizione attuale presenta una serie di culle fra passato e tempi non lontani che evidenziano una costante attenzione per la realizzazione di questo elemento.
Il bambino infatti conosce un graduale processo di integrazione sociale, in un legame costante con la madre che provvede alla protezione e alla crescita in sicurezza. Da una parte deve essere assicurato il riposo del bambino, protetto in un comodo giaciglio, dall’altro la madre deve trovare il modo di agevolare il sonno del piccolo ma proseguire le sue occupazioni e all’occorrenza provvedere allo spostamento.
Accanto ai diversi modelli esposti figura anche una culla disegnata dall’architetto Ottorino Aloisio e realizzata dall’ Industria del vimini (Gervasoni) intorno al 1930: un modello ancora attuale.
La prima infanzia era un periodo particolarmente vulnerabile. La precarietà della salute infantile, nonché i pericoli, molto diffusi nel passato e nelle classi popolari in particolare, richiedevano di mettere in atto una serie di misure contro i numerosi rischi che incombevano sui neonati: la caduta dalla culla, l’attacco da parte di animali, il rischio di incendio causato dal fuoco presso il quale veniva posizionata la culla per tenere il bambino al caldo. Molti ex voto dipinti illustrano situazioni di scampato pericolo non infrequente.
La culla non doveva essere incustodita, era dipinta o decorata con colori scaramantici, addobbata da un corredo di oggetti protettivi da quelli religiosi agli amuleti.
Delle pratiche rituali di integrazione del bambino fanno parte anche la scelta del nome e il battesimo che ufficializza l’ingresso nella comunità d’appartenenza. Il bambino veniva trasportato in chiesa da una giovane ragazza, simbolo dell’innocenza, accompagnato dai genitori, dai padrini, da parenti e dalla levatrice. Il volto era protetto da un velo in quanto il suo stato ancora liminale (tra l’essere e il non essere al mondo, tra la vita e la morte) lo rendeva vulnerabile agli sguardi malevoli, possibili cause di malocchio.
Nei battesimi officiati nel periodo invernale, per riparare il bambino dalle intemperie durante il tragitto dalla casa alla chiesa era consuetudine deporlo in un’arca di legno e vetri, finemente lavorata e “solitamente di proprietà della levatrice” che le concedeva all’occorrenza.
La promozione di questo nuovo allestimento, tramite diversi strumenti di comunicazione (banner, immagini su facebook, cartoline, brochure e cartoline gioco) è stata possibile grazie alla collaborazione con alcuni docenti e una classe dell’ENAIP, gli allievi del quarto anno di Formazione Professionale del corso di “Tecnico Grafico”, che hanno realizzato un progetto didattico ad hoc.
Mercoledì 1 giugno 2016, alle ore 10.30, presso la sede espositiva di palazzo Giacomelli si terrà la presentazione della collaborazione con l’istituto di formazione.