La riforma degli enti locali che serve alla Regione FVG è quella che mette al centro il cittadino, quindi sono inutili le attuali dispute sul futuro delle Province, perché sono basate su pregiudizi privi di senso.
Infatti, una volta messo al centro il cittadino, se le Province servono si tengono, se non servono si tolgono, se servono diverse da oggi si cambiano. Ma ciò deve valere per tutti, Province, Comuni, Regione, per non parlare della foresta di enti di secondo grado che nessuno elegge ma che usa sempre e solo soldi pubblici.
La riforma che serve quindi deve mettere al centro il cittadino, dando trasparenza dell’azione amministrativa, imparzialità, certezza dei ruoli e avvicinando la risposta più possibile al cittadino stesso.
La prima cosa da fare è aprire un fossato tra la azione legislativa, propria della Regione, e l’azione amministrativa, propria di Comuni e Province o di chi per loro.
La Regione deve essere solo tre cose, programmazione, indirizzo e legislazione, e non deve gestire denaro da distribuire e ne tantomeno da rendicontare. Comuni e Province infatti non sono uffici periferici della Regione ma la Repubblica più vicina ai cittadini.
Aprire questo fossato non è facile per alcuni motivi.
Primo, i politici regionali a parole dicono che vogliono farlo, ma nei fatti non rinunceranno mai al potere di erogare denaro, perché non riescono neppure a pensare ad una Regione solo indirizzo e programmazione. Hanno paura che a decidere siano Sindaci e Presidenti di Provincia e preferiscono il ritorno del vecchio centralismo alla Panontin, non a caso già battezzato “assessore contro gli enti locali”.
Secondo, i dirigenti e l’apparato regionale, sindacati in testa, non accetteranno mai di andare a lavorare nei Comuni e nelle Province, per il semplice motivo che perderebbero soldi. Oggi infatti, alla faccia del comparto unico, non vi è paragone tra le buste paga dei regionali e quelli dei comunali e provinciali, basti pensare che i regionali prendono la 14^ mentre gli altri no. Per non parlare dei dirigenti regionali e del divario con quelli locali.
Terzo, i poteri forti di questa Regione non vogliono il federalismo e il decentramento perché aldilà dei luoghi comuni bocconiani sulla efficienza, sanno che disperdere il potere sul territorio li rende deboli nei rapporti contrattuali con la struttura pubblica. In due parole hanno paura della democrazia diffusa, dei comitati, delle assemblee, insomma di tutto ciò che non si può comprare e convincere. Dietro c’è l’idea novecentesca che questa Regione è loro in quanto detentori del denaro: è il solito sogno plutocratico.
Ammettendo però che si riesca nella “mission impossible” di dividere la legislazione dalla amministrazione, dopo si può e si deve ragionare con serietà su cosa costruiamo a livello di prossimità.
Sicuramente abbiamo bisogno sul territorio e nella attività amministrativa di due livelli, uno puntuale che risponda al cittadino e uno di area vasta che governi il territorio.
Questi due livelli li mettiamo nello stesso soggetto o in due distinti?
Se li mettiamo nello stesso soggetto, allora dobbiamo creare pochi Comuni estesi, in modo tale che rispondano al cittadino e contemporaneamente attuino politiche di area vasta.
Se li mettiamo in due soggetti distinti, allora dobbiamo potenziare i Comuni e le Province attuali magari prevedendo per le Province una diversa ripartizione territoriale.
Altro sinceramente non vedo e mi pare una avventura senza sbocco utile al cittadino. Consorzi, comprensori, aster obbligatorie e quant’altro sono solo l’implementazione della foresta di enti di secondo grado che appesantiranno ulteriormente il lavoro dei Sindaci, con risultati modesti e costi inutili.
C’è una cosa infatti che bisogna considerare, la rete dei Sindaci è collassata già ora, perché la mole di burocrazia e vincoli scaricati dalla attuale legislazione riuscirebbe a fermare anche un treno. Non si salva nessuno e non c’è coordinamento e unione di comuni che possa aiutare, solo palliativi temporanei per lo più affidati alla genialità e alla buona volontà di qualche sindaco di turno.
Ecco, questa è la scelta. In palio c’è la nostra identità, che piaccia o non piaccia è così. Alla fine siamo tornati al punto di 10 anni fa, vogliamo una Regione che sulla propria tradizione e civiltà inneschi processi condivisi innovativi (governance) o vogliamo una Regione che punti all’efficienza a prescindere (government)?
La mia opzione è chiara, io non credo che saremo più competitivi se rinunceremo a essere “noi”, anzi saremo più insicuri e più deboli, e ho letto proprio recentemente che la riscoperta del senso di comunità rappresenta uno dei dieci megatrend che sta muovendo il mondo. Il che vuol dire concretamente che chiudere Comuni e Province è dannoso economicamente, e che conviene invece spingere con decisione sul decentramento e sul federalismo dal basso.
Ma soprattutto mi piacerebbe parlare di queste cose nei luoghi adatti, cosa che oggi non avviene, perché caro Paolo se non c’è rispetto per coloro che sono stati eletti dai cittadini, non si può chiamarla democrazia.