28 maggio 2013, in Turchia scoppia una protesta che conta una cinquantina di persone che manifestano il loro dissenso nei confronti del governo di Recep Tayyip Erdoğan. I manifestanti si oppongono alla decisione del primo ministro di costruire un centro commerciale al posto del Parco Gezi di Istambul. Tale protesta ha avuto risonanza nazionale dopo che i manifestanti sono stati attaccati dalla polizia e ciò ha portato ad ampliare il motivo del dissenso verso istanze politiche più generali, dando infine vita a manifestazioni in tutto il Paese represse violentemente dal governo. L’indignazione causata da un uso sproporzionato della forza nei riguardi di un movimento essenzialmente pacifico, ha esteso il dissenso oltre i confini nazionali, con manifestazioni contro Erdoğan in paesi di tutto il mondo e la critica della comunità internazionale espressa anche per vie ufficiali, come nel caso dell’Unione europea, dell’ONU e degli Stati Uniti. Le squadre antisommossa impiegate dal governo si sono contraddistinte per un atteggiamento ai limiti della legalità, con uso massiccio di spray al peperoncino su persone inermi, lanci di gas lacrimogeno ad altezza d’uomo e l’aggiunta di urticanti all’acqua sparata dai camion muniti di idranti. Il bilancio attuale è di 9 morti e oltre 8000 feriti. Numerosissimi anche gli arresti, con eclatanti blitz per arrestare avvocati e medici che assistevano i manifestanti. Nella notte tra il 2 e il 3 giugno ci sono stati gli scontri più violenti. A Istanbul polizia e manifestanti si sono scontrati soprattutto nel quartiere Besiktas, ma molte altre violenze si sono verificate in altre 67 città del paese: tra le altre cose, alcune sedi del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), di cui è presidente Erdoğan, sono state incendiate. Non sono nuovi i moti di protesta contro il governo Erdoğan che già a partire dal 2011 aveva iniziato ad adottare una politica molto rigida che impediva importanti libertà come quella di parola e di stampa. A questa protesta in difesa del parco di Gezi si aggiungono altre due questioni, la prima riguarda una legge, che vieta la vendita di alcolici nei pressi di moschee e scuole, la seconda riguarda il tentativo da parte del governo di limitare per legge comportamenti considerati moralmente inaccettabili come mostrare le gambe femminili nelle pubblicità e baciarsi nell’area della metropolitana di Ankara. Tutti questi fattori possono far pensare all’inizio di una “primavera turca”, avendo come modello quello delle rivoluzioni dei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente più o meno riuscite.