È uno dei miti più affascinanti della letteratura europea, ha attraversato la storia del pensiero occidentale e dominato i palcoscenici in opere di prosa e di musica. Da Tirso de Molina fino a Molière e a Mozart, la figura leggendaria del seduttore, libertino ed eroe-criminale solitario non ha conosciuto declino e, ora, ritorna nuovamente in scena mostrandoci la sua assoluta modernità: da martedì 26 a giovedì 28 febbraio 2019 (con inizio sempre alle 20,45)il Teatro Nuovo Giovanni da Udine presenta in prima regionale Don Giovannidi Valerio Binasco, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e con protagonisti Gianluca Gobbi nel ruolo del titolo, Sergio Romano (Sganarello) e Giordana Faggiano (Elvira).
Mercoledì 27 febbraio 2019 alle ore 17.30 la compagnia dello spettacolo incontrerà il pubblico nel foyer del Teatro per un nuovo appuntamento di “Casa Teatro” dal titolo “I Rapaci”. Conduce Roberto Canziani, partecipa Alma Maraghini Berni, esperta d’arte.
Regista noto e apprezzato per la sua capacità di interpretare con uno sguardo personale e contemporaneo i grandi titoli del canone teatrale occidentale – lo avevamo applaudito al Giovanni da Udine pochi anni orsono con il suo Romeo e Giulietta di Shakespeare, trasformato nella tragedia di una soffocante provincia italiana – Valerio Binasco affronta ancora una volta un testo classico puntando l’attenzione sul Don Giovanni di Molière, commedia scritta nel 1665 in polemica contro la morale ipocrita dei benpensanti. Abbandonate le vesti del libertino elegante e del cinico uomo di mondo, il Don Giovanni di Binasco si fa istintivo e carnale, suscita disapprovazione e odio, non conosce morale e si dimostra del tutto immune al senso di colpa, al pudore e al rispetto. Tatuaggi, anfibi e sguardo irriverente, è lontano – anzi lontanissimo – dalla figura del seduttore tramandataci dalla letteratura e soprattutto è dannatamente attuale.
«Con questo Don Giovanni ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati (anche con allestimenti molto belli e paludati) a un protagonista emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche – spiega Valerio Binasco nelle note di regia – Così, a partire dal protagonista ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere Spagnoleggiante della prima tradizione come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso. Per quanto mi riguarda si tratta solo di divagazioni lontane da quella cosa che io chiamo “vita” – per mancanza di terminologia più precisa – e che mi ostino a ricercare in teatro, anche contro l’evidente contrarietà di certi testi e dei loro autori. Cosa cerco? Cerco proprio Lui, il protagonista di questa storia, come posso immaginare che sia stato prima che nascesse la sua leggenda e la sua letteratura. Lo cerco nella vita, più che nel testo. Se lo cerco nella tradizione, Don Giovanni non c’è, c’è un fantasma letterario al suo posto. Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno, Don Giovanni è poco più di un delinquente, un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. È il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi, che egli coltiva con il preciso scopo di stare bene con se stesso, e non di autopunirsi in modo estetico (come nella tradizione vampiresca novecentesca), né di fare la rivoluzione culturale. Ma con una caratteristica in più, che sembra però una caratteristica in meno, ma non lo è: la propria scarsa consapevolezza di chi egli sia realmente nell’anima. Questo suo ‘non percepirsi’ nel profondo, questo rifiuto a priori di considerare degno di interesse la coscienza di sé, è una condizione psicologica molto contemporanea, teatralmente interessante, poco indagata.”
Simbolo non soltanto dei trionfi e delle ceneri dell’eros, ma anche della rivolta della libido contro le remore della teologia, la figura di Don Giovanni compare per la prima volta nel dramma di Tirso de Molina El burlador de Sevilla y Convidado de piedra (1616) ma è con Molière che acquisisce spessore e si traduce in mito della letteratura europea. Il 1665 è l’anno di una nuova offensiva del drammaturgo francese contro la morale dei benpensanti, cui seguirà una nuova, violenta risposta da parte del “partito dei devoti”.L’occasione si presenta con la sua nuova opera teatrale, Don Giovanni, che riprende il tema della religione già affrontato nel Tartufo. La commedia, in cinque atti in prosa, è strutturata in modo tale da far convergere tutte le scene sulla figura del protagonista. Molière seziona il tema della religione e della sua funzione nella morale e nella società. Il suo libertinaggio non è che una declinazione estrema della ricerca di libertà: anche nel momento in cui tale ricerca sfocia nell’ateismo e nella blasfemia non contraddice mai la figura dell’eroe-criminale solitario, che orgogliosamente osa portare la sua sfida anche contro Dio. La difesa dei principi della religione e delle verità della fede viene assunta da Sganarello, servitore ridicolo, che svilisce gli argomenti che tocca, inducendo a una caricaturale confusione tra religione e superstizione. Neanche la figura del Convitato di pietra, né il finale morale imposto dalla tradizione, riescono a riequilibrare la propensione degli spettatori verso l’immagine del libertino, immorale ed empio.