“Ballate per uomini e bestie” è un viaggio attraverso il tempo, un viaggio che pare portarci al punto di partenza.
Un tempo immaginario e “immaginato”, un medioevo inteso come epoca di superstizione e nefandezza.
Tutto converge in questo continuum spazio-temporale, supportato da una scenografia “low-tech” che è piazza di paese, inferi, cattedrale, prigione e grotta.
Il resto accade grazie alla performance dei “musicanti” e alla loro Musica (si con la M maiuscola).
Vinicio entra in scena travestito da Uro (una sorta di bufalo estinto) e racconta di un uomo di 17mila anni fa che lo dipinse sui muri di una caverna e che si divertiva a spaventare tutti, infilzando le sue corna nella terra e trasferendo ad essa la sua rabbia, fino si giorni nostri. Il viaggio continua, fra allegorie e danze seicentesche che trasmutano attraverso generi musicali disparati ma sempre con ironica eleganza. È il caso di “danza macabra” che sfocia in una ridda angosciante o “povero cristo” che scende dalla croce per rimanere scioccato (ancora) dalla nostra miseria morale.
I musicisti che lo accompagnano danno supporto a questo percorso visionario (Alessandro “Asso” Stefana-chitarra, Niccolò Fornabaio-batteria, Andrea La Macchia-contrabbasso, Raffaele Tiseo – violino, Giovannangelo De Gennaro – strumenti medievale.
“La peste” ci porta in toni apocalittici e “Il testamento del porco” in un punk-folk che aumenta la dicotomia sacro/profano dello spettacolo.
Tutti i tempi sono gestiti perfettamente, così come la scaletta e l’alternanza dei pezzi che si sostengono ed esaltano a vicenda. Geniale “La giraffa di Imola” che parla di una giraffa scappata da uno zoo, dove il tema della diversità viene affrontato con profondità è lontano dai luoghi comuni: “Cucciolo senza madre, perso qui nell’Europa del circo occidentale…”
È così, il Capossela erede di Tenco, che si ispira a Tim Waits, ora diventa se stesso, non più allievo ma maestro. Speriamo che ora qualcuno si ispiri a lui perché è di questa musica che abbiamo bisogno.