In Friuli Venezia-Giulia il luppolo è sempre stato presente ed usato per produrre birra fin dal tempo dei romani, ma la sua coltivazione non ha mai preso veramente piede e la produzione è sempre stata molto limitata. L’interesse per la coltivazione del luppolo sta comunque aumentando ultimamente; la moltiplicazione dei birrifici artigianali e agricoli, unita al fascino della produzione a chilometro zero, potrebbe cambiare le cose.
Il condizionale è però d’obbligo per due ragioni: la prima è che gli investimenti per l’impianto di un luppoleto e la successiva gestione non sono trascurabili (la raccolta ad esempio necessita di macchinari specifici e la filiera di coltivazione è ancora in fase embrionale); la seconda, anche più importante, è che allo stato attuale il nostro Paese non dispone di quote luppolo e quindi, un birrificio, può produrre birra con luppolo coltivato in proprio, ma si trova ad affrontare ostacoli legislativi per la commercializzazione della stessa.
In Friuli Venezia-Giulia, grazie ai progetti “FuturBioErbe” e “Filiera Birra”, che hanno coinvolto: CirMont (Centro Internazionale di Ricerca per la Montagna), ERSA (Agenzia regionale per lo sviluppo rurale), Università degli Studi di Udine (Facoltà di Agraria) e CRITA (Centro per la Ricerca e l’Innovazione Tecnologica in Agricoltura), è stata avviata una sperimentazione sulla coltivazione del luppolo, seguita da due competenti ed appassionati agronomi: Elena Valent e Federico Capone, che hanno studiato il comportamento delle piante nel luppoleto biologico di Fiume Veneto (PN) ed in quello convenzionale di Udine. Per comprendere meglio quali siano le reali possibilità di una remunerativa coltivazione del luppolo nel nostro Paese, abbiamo fatto loro qualche domanda.
Elena, come sono andati i raccolti di questi primi due anni di sperimentazione?
Ci sono state delle sostanziali differenze tra i due luppoleti; in quello di Fiume Veneto la produzione è stata influenzata dalle condizioni climatiche; soprattutto quest’anno le precipitazioni molto intense in primavera e la siccità nei mesi estivi hanno creato diversi problemi in termini di stato fitosanitario delle piante e di produzione (30% in meno). Nel 2012 invece la produzione è stata discreta ed abbiamo eseguito diverse raccolte per individuare il periodo ottimale ai fini della resa in luppolina. Nel luppoleto di Udine la presenza di un impianto di irrigazione a goccia e di un telo antigrandine, ma soprattutto le caratteristiche del terreno ottimali, hanno consentito di ottenere produzioni migliori, anche se la posa delle piante è stata effettuata solamente nell’aprile del 2013.
Federico, quali sono le varietà di luppolo che, dopo due raccolti, ritenete più idonee ad essere coltivate nel nostro territorio?
Considerando che la sperimentazione è ancora in atto e che due anni sono pochi per fare una valutazione complessiva, si può però ipotizzare che le cultivar che sembra abbiano un buon adattamento climatico e che diano una produzione quantitativamente e qualitativamente buona siano le seguenti: Cascade, Hallertauer Magnum, Fuggle, Primadonna, Challengher, Hallertauer Mittlefruh e Opal (solo per la % in alfa e beta acidi).
Elena, avete riscontrato delle particolari patologie nelle piante? Le avete conseguentemente trattate con fitosanitari?
Nella coltivazione di fiume Veneto nel 2012 grazie ad una stagione regolare, considerando le piogge, la gestione delle patologie è stata piuttosto semplice. È stato però necessario intervenire con delle concimazioni fogliari a base di microelementi nel periodo di maggiore sviluppo della pianta. Inoltre sono stati eseguiti dei trattamenti con induttori di resistenza per stimolare le autodifese della pianta.
Nel 2013 invece la situazione è stata completamente differente. Le piante hanno subito notevoli stress, prima idrici e poi un susseguirsi di carenze nutrizionali, attacchi di acari e funghi (pseudoperonospora, oidio, alternaria) ed infine botrite e virosi nel periodo di siccità, determinando una diminuzione della produzione. Poiché in Italia non esiste alcun prodotto registrato per la difesa del luppolo, sono stati usati induttori di resistenza, inserendo dei trattamenti mirati con rame e zolfo (ammessi in agricoltura biologica).
Nel luppoleto di Udine l’impossibilità di effettuare un trapianto all’inizio della primavera ha permesso alle piante di evitare stress idrici e lo stato fitosanitario è stato preservato. Solamente in giugno è stato necessario un intervento di concimazione fogliare in microelementi. Non sono stati necessari trattamenti con prodotti fitosanitari, poiché le piante non hanno manifestato significative problematiche.
Federico, in seguito alle analisi ed alle prove effettuate dai microbirrifici locali, qual è il giudizio complessivo sui luppoli coltivati nei due luppoleti sperimentali della regione?
Il raccolto è stato analizzato e successivamente testato da due microbirrifici in Regione (La birra di Meni e Birrificio Campagnolo), che ringraziamo per la disponibilità. Sulla base della loro esperienza il giudizio è stato positivo, così come quello dei consumatori.
Chi volesse approfondire il tema o sia interessato alla coltivazione del luppolo, come può contattarvi o raccogliere ulteriori informazioni?
Gli interessati possono visitare il nostro blog futurbioerbe.wordpress.com dove sono contenute tutte le informazioni riguardo il progetto sperimentale.