In questo lungo periodo di pandemia, lockdown e restrizioni, ciò che più ci è mancato è sicuramente la libertà; per mesi abbiamo dovuto giustificare ogni spostamento, incontrare altre persone era quasi un reato, come in una strana commedia dell’assurdo eravamo prigionieri dentro le nostre stesse case. Da marzo 2020 a oggi abbiamo senz’altro rimpianto più volte il passato, anche quello più recente, un tempo in cui eravamo felici senza saperlo; le difficoltà c’erano (ce ne lamentavamo sempre!), ma eravamo liberi e proprio questa era la chiave della nostra felicità, o almeno avrebbe dovuto esserlo. Chissà se ora abbiamo imparato la lezione: la felicità non è assenza di difficoltà, è piuttosto poter godere della propria libertà; anche la libertà è però un concetto astratto, che concretamente può manifestarsi in molte declinazioni diverse, a seconda delle situazioni che viviamo, delle nostre condizioni psicofisiche, sociali o economiche, ma soprattutto del nostro modo di pensare, sentire ed essere.
Per Simone Masotti la libertà (e quindi la felicità!) ha sempre avuto due ruote, due pedali, una catena e un nome che inizia con la B; in altre parole, per lui la libertà ha da sempre le sembianze di una bicicletta. È stato così fin da bambino, quando già a tre anni pedalava su e giù per i marciapiedi del paese e quando poi, più grandicello, inforcava la bici da cross e sfrecciava lungo le strade di campagna per andare a pranzo dalla nonna, che abitava a sette chilometri da casa sua, sognando invece di viaggiare alla scoperta di luoghi lontani.
Con il passare del tempo quel bambino è cresciuto, è diventato un ragazzo e poi un uomo che ha saputo realizzare le proprie ambizioni professionali affermandosi come architetto; la voglia di esplorare il mondo in bicicletta, quindi la passione per il cicloturismo, non l’ha mai abbandonato, neppure quando all’età di trent’anni gli è stato diagnosticato il morbo di Parkinson. Dopo un periodo piuttosto difficile, durante il quale la depressione è soltanto uno dei sintomi della malattia che l’ha colpito così precocemente, Simone impara a convivere con la sua nuova condizione, accettando il fatto che il tremore, la rigidità nei movimenti, le difficoltà di deambulazione e di parola siano compagni di viaggio sempre più presenti; inizialmente, almeno nei primi cinque anni dalla diagnosi, riesce a controllare l’invadenza di questi ospiti indesiderati grazie ai farmaci e la sua vita continua in modo pressoché normale, tanto da permettergli di sposarsi e diventare padre. Man mano che passano gli anni però, il suo “amico” Parkinson si fa via via più molesto e occorre adottare un’altra strategia per arginarlo; d’accordo con il neurologo, Masotti si sottopone quindi alla stimolazione cerebrale profonda, in inglese Deep Brain Stimulation (DBS), un trattamento chirurgico che prevede l’inserimento nella zona clavicolare di uno stimolatore sottocutaneo, collegato a due elettrodi posti all’interno della scatola cranica. Questo dispositivo, che il ciclista di Pradamano (UD) gestisce autonomamente grazie a un telecomando, manda al suo cervello degli impulsi elettrici in grado di bloccare i segnali che provocano i sintomi, permettendogli così di continuare a svolgere le normali attività quotidiane, altrimenti destinate a diventare per lui ogni giorno più faticose, se non addirittura impossibili.
La stimolazione cerebrale profonda aiuta Simone anche a coltivare le sue passioni, in particolare quella per la bicicletta, peraltro considerata terapeutica per coloro che hanno una malattia neurodegenerativa come la sua; recenti studi hanno infatti dimostrato che nel caso del morbo di Parkinson il ciclismo contribuisce a migliorare la funzionalità generale del fisico, a ridurre il tremore, la bradicinesia e la rigidità, a migliorare l’umore, la capacità aerobica e la funzione cognitiva, oltre che ad aumentare la gioia e le relazioni sociali e a ridurre i punteggi della scala di valutazione unificata per la malattia di Parkinson (in inglese Unified Parkinson’s Disease Rating Scale – UPDRS
Pur nella consapevolezza di vivere grazie a una batteria, quindi di potersi bloccare da un momento all’altro se questa smette di funzionare a dovere, l’architetto friulano non rinuncia a godersi la vita al massimo. continuando a esplorare il mondo sui pedali; il primo vero viaggio cicloturistico risale a due anni fa, quando insieme a Sergio Borroni (che di professione fa il dentista, ma nel tempo libero è un cicloturista esperto, che ha già visitato più di 80 Paesi del mondo), Ralf Kirchhoff e Pino Orlandi (malato di Alzheimer) dà vita alla spedizione “Pedalare con il Parkinson e con l’Alzheimer”, un viaggio circolare che tocca tutte le isole del Quarnero, in Croazia. Guarda caso, pochi giorni dopo l’inizio di quest’avventura lo stimolatore di Simone decide di andare in tilt, costringendo l’intero gruppo a rientrare subito alla base; in seguito il dispositivo verrà sostituito e dopo tre mesi Simone sarà di nuovo in sella, pronto a ripartire da dove si era fermato (ovvero dall’isola di Pago), portando quindi a termine questo bellissimo progetto.
Come tutti sappiamo, nel 2020 la pandemia impone uno stop forzato, viaggiare è impossibile e Simone dovrà aspettare l’inizio di quest’anno per poter ricominciare a pedalare e ad “aprire” nuovi sentieri, sempre rimanendo all’interno del territorio comunale di Pradamano, dove risiede; il periodo è difficile per tutti e le restrizioni pesano davvero tanto, il desiderio di libertà diventa ogni giorno più forte. Ecco perché Simone decide di rompere gli indugi e ricontattare il suo amico Sergio, proponendogli di ripartire per una nuova avventura appena la situazione lo permetterà; anche Sergio è dello stesso parere, non vede l’ora di risalire in sella; fortunatamente i contagi continuano a scendere e finalmente le regole da rispettare sono meno stringenti, così domenica 23 maggio Sergio, Simone, Paolo e Gianni (altri due amici che vogliono condividere con loro la riconquista della libertà) partono da Pradamano e arrivano fino al mare attraversando luoghi bellissimi quali Caorle (VE), il Lido di Venezia, l’isola di Pellestrina, Chioggia e la foce del Po, risalendo poi lungo la ciclovia VenTo, per giungere quindi alla diga del Vajont (con il suo silenzio surreale, come se lì la Terra avesse inghiottito anche i suoni), ai laghi di Barcis e di Cornino, a San Daniele e a Udine, rientrando infine a casa. In soli sette giorni la squadra percorre 684 chilometri, con un dislivello di ben 2785 metri! Per i non addetti ai lavori, questi sono numeri da far tremare i polsi (o forse sarebbe più corretto dire le gambe), ma per Simone, che già trema a causa del morbo di Parkinson, le statistiche hanno un valore relativo, le emozioni provate durante il viaggio contano sicuramente molto di più.
Se gli chiediamo di descrivere le sensazioni percepite in quella settimana, il quarantaseienne di Pradamano fatica a trovare le parole, perché certi momenti possono solo essere vissuti, non raccontati; che dire, ad esempio, della partenza con al seguito un nutrito gruppo di ciclisti desiderosi di condividere con lui e i suoi amici un tratto della prima tappa? O come descrivere il suo “sentirsi vivo” dopo quattro ore di pedalata sotto la pioggia battente, quando vorrebbe fermarsi ma non può farlo perché altrimenti si raffredderebbe subito, allora va avanti e sorprendentemente il suo corpo reagisce? Oppure ancora, come esprimere a parole la gioia provata l’ultimo giorno, quando a circa quaranta chilometri da casa compare dietro una curva la bandiera del Friuli, sostenuta da una schiera di amici che lo incitano a gran voce e che poi lo accompagneranno fino al traguardo?
Emozioni simili sono senza dubbio ineffabili e indelebili, gli rimarranno nel cuore per sempre e costituiscono la migliore ricompensa per le sue fatiche, non solo per quelle alle quali si piega volontariamente andando in bicicletta (o, come ama dire lui, muovendosi su due ruote quasi in assenza di gravità), ma anche per quelle che la malattia gli impone di affrontare ogni giorno; in momenti come questi infatti, Simone assapora la vera libertà, che vorrebbe trasmettere anche a coloro che non sono in grado di viverla personalmente, ma possono comunque sognarla.
E per continuare a sognare spezzando tutte le catene (tranne quella della bicicletta, l’unica utile!) e sentendosi liberi oltre ogni limite, lui e i suoi compagni di viaggio pensano già al futuro, più precisamente a luglio del prossimo anno; in quel mese infatti sperano di poter partecipare al “Ragbrai” (acronimo di “Register’s Annual Great Bicycle Ride Across Iowa”), che è la più grossa manifestazione cicloturistica del mondo tra quelle di durata plurigiornaliera, nonché una delle più antiche degli Stati Uniti, con un percorso di circa 450 miglia (approssimativamente 724 chilometri) da compiere nell’arco di una settimana attraverso lo Stato dell’Iowa. Molto probabilmente vivranno questa fantastica esperienza in qualità di membri del “DPF Team”, cioè della squadra creata dalla Davis Phinney Foundation, una fondazione istituita nel 2004 dall’americano Davis Phinney, ex ciclista professionista che negli Anni Ottanta si fece conoscere anche in Europa come vincitore di due tappe del Tour de France e in seguito si ammalò proprio di Parkinson (purtroppo diagnosticatogli soltanto nel 2000, a diversi anni dalla comparsa dei primi sintomi e dopo una lunga serie di visite ed esami).
Riuscire a organizzare tutto per volare in America e prendere parte al “Ragbrai” non sarà facile, soprattutto dal punto di vista logistico, ma Simone e i suoi amici sono fortemente motivati e non hanno intenzione di arrendersi al primo ostacolo; nel 2020 il Covid li ha fermati, ma per fortuna quest’anno i pedali hanno ripreso a girare grazie a(l) VenTo e continueranno a farlo, spinti dalla forza di chi crede nei sogni, finché non raggiungeranno le grandi pianure dell’Iowa, distese sconfinate di libertà!