L’Udinese cambia faccia: c’è qualcosa di nuovo allo stadio, anzi d’antico; viene da Matera e ci ritrova dopo quindici anni. Danìlo larangeiramente piange e chiede scusa per quella che qualche collega considera una ragazzata: io no. Danìlo ha trentadue anni, una fascia di capitano al braccio e se non regge la pressione di Udine, che si limiti ed invece di scendere a duello rusticano con la curva giri i tacchi e si infili in doccia, imitando Colantuono che sentendosi esonerato prende e se ne va negli spogliatoi al triplice fischio.
E per una dìsputa tutto sommato poco meno che civile, dove i giocatori si sono sentiti dire dai tifosi (secondo me a torto, ma nelle mie scarpe non vi sono altri né io in quelle altrui) i meritati complimenti, la stampa nazionale si scaglia come un sol uomo al comando contro i tifosi udinesi: Spalletti ci fa la morale, da Radio24 ci fanno la morale, un collega de La Repubblica, che si autodefinisce “scrittore giornalista tifoso juventino”, scrive di gogna dei tifosi contro i giocatori. Ça va sans dire, avendo probabilmente solo sentito dire e non avendo probabilmente visto nemmeno tutte le immagini.
A prescindere dall’origine del tifo; a prescindere dalla frequentazione quarantennale di Comunale, Delle Alpi, Stadium; a me la definizione “giornalista tifoso” fa rabbrividire. Vieppiù quando questi, chiaramente, si trova a malpartito dovendo parlare di calcio non rosastellato. A differenza del chiarissimo collega, io mi vanto di non avere un’opinione tranchant su tutto, tale per cui ci debba far su un articolo su scala nazionale. È imperdonabile parlare per sentito dire, e recidere giudizi perentori su cosa sia corretto o meno fare. Un chiarissimo giornalista-scrittore violatinto lo colse in fallo quando compose un verso indimenticabile a proposito dell’eliminazione della sua Juve da parte del Bayern, “L’eliminazione non è un umiliazione”: così, senz’apostrofo. E il ringraziamento per aver pietito l’inviolabilità della lingua italiana, ricevette dal giandujotto una serie di insulti (prima di correggere la frase). All’amico fraterno gigliato dico che evidentemente i panni sciacquati nel Po dal Monviso nato, pèrdono diluiti apostrofi ed educazione. Agli amici fraterni udinesi invece che una reprimenda di tale origine deve scivolare via, quanto quella, altrettanto inutile, di Fabio Capello che risponde ad una pessima domanda con una sentenza ancor più dimenticabile. Ad entrambi i saggi calciòfili juventini dico che mercoledì sera avranno altro cui pensare. E mentalmente mi sento vicino ai fratelli bavaresi: fate il Vostro dovere. Sì: me ne sbatto del ranking. Sì: provo piacere nel vedere le squadre italiane sbattute fuori dalle coppe europee. Quanto i loro tifosi a veder la nostra biancanera vinta dallo Sporting Braga.
De Canio: non avrei scelto lui, ma capisco le ragioni. Le hanno dette tutti, inutile ripeterle. Deve fare sette, otto punti che con questa rosa non sono proprio la missione impossibile che qualcuno dipinge: farà un accordo con un paio di senatori (corretto), metterà in campo la squadra senza stravolgerne gli equilibri (corretto), secondo me prenderà uno o due punti dalle prossime due gare (speranza). Non appare nel mio empìreo, ma nella stagione nella quale fu cacciato (era il 18 marzo 2001, compìvo 32 anni quel giorno) dopo una sconfitta per 1-3 contro il Parma di Marcio Amoroso, non si giocava malissimo. Pagò quattro sconfitte consecutive, e dopo di lui Spalletti (mi sono documentato) ottenne due vittorie, quattro pari e cinque insuccessi. Decisiva la rete di bomber Muzzi a Bergamo, per me testimoniata dall’inquadratura ventrale di Lorenzo Petiziol esploso in aria mentre commentava la gara per un’emittente meneghina (Telelombardia). Era l’Udinese di Fiore, di Jorgensen e Giannichedda, e leggendo la rosa rispetto a quella attuale c’è da rabbrividire. Ma i tempi passano e i tifosi imbiancano, inutile pensare a cosa fu e cosa sarà. Luigi De Canio è un onesto professionista, cui si chiede di incerottare una squadra in cerca di sé stessa. Ed a fine anno, lo spero, volino gli stracci e si sfoderino i lunghi coltelli. Molti fra i pedatori bianchineri hanno preso questa stagione come un anno sabbatico, in cui sbarcare il lunario. Troppo facile, cari scalcianti: come chiedere scusa il giorno dopo. Ve la chiedo io: per non avervi ignorati, come avreste meritato. Siete stati impalpabili come borotalco, avete causato il licenziamento di un allenatore (che aveva comunque mille colpe). Adesso siete soli, ignudi, trafitti da un lancio millimetrico di un divino e metaforico Maradona, che vi ha posti di fronte al vostro ritratto à la Dorian Gray: solo che ad invecchiare, imbruttire, svalutarsi siete voi. solo voi.