Ufficialmente saremmo ancora in primavera ma, in questi giorni, la Furlanìa è rovente rispetto alle temperature cui siamo abituati. Una scalmanata in apertura di stagione è inevitabile eppure ogni anno, chissà perché, ne rimaniamo sorpresi. La Piccola Patria sborfa e si lamenta mentre l’erba cresce, irrefrenabile, a rompere lis citis a chi avrebbe piacere di passare il fine settimana a spasso anziché armeggiare con falciatrici, tosaerba e sèis high tech, nel tentativo di domare lo spirito vitale della vegetazione.
Pur se tra questi impedimenti, siamo riusciti a trovare una parentesi di tempo domenicale per accogliere l’invito del PIC – Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli – e recarci in visita presso una delle tante bellezze architettoniche di quel lembo di Regione.
La meta prescelta è stata Mortegliano (UD) che, in genere, ci capita di attraversare soprappensiero, butànt un voli al famoso campanile e pensando – a dirla tutta – a quanti chilometri mancano per arrivare a Lignano.
Stavolta no. Stavolta Mortegliano diviene destinazione!
Ci accorgiamo che è un bel Comune, con strade ampie e scorci interessanti. Il PIC ci attende ad un civico poco distante dal centro paese; più precisamente, la villa aperta alle visite è la “Villa dei Conti di Varmo”, facilmente distinguibile per lo stemma rappresentato in facciata e per la mole dell’edificio stesso.
Più che di palazzo si tratta di casa padronale friulana, ci spiegano subito le guide dell’Associazione Itineraria. Un tempo la grande casa si allungava comprendendo una serie di edifici più bassi, adibiti al servizio. Il parco, che conta attualmente 5000 mq circa, era sette volte più esteso. Par antìc la villa ben rappresentava il potere di una delle più importanti famiglie nobili , i di Varmo, appunto.
Dal Seicento in poi la storia dell’edificio si è evoluta, fino a giungere ai giorni nostri – vale a dire la seconda metà degli anni Novanta, cioè ieri l’altro – quando, bisognosa di grandi cure e di gran restauro, è stata venduta dall’ultima discendente dei di Varmo al Comune di Mortegliano. Ora, tra quelle mura trovano spazio la biblioteca comunale, l’Università delle Libere Età e spazi vari di aggregazione aperti a tutti gratuitamente.
Il bene è diventato pubblico in ogni senso. E’ chiaro che di ciò che era un tempo poco è rimasto: una quindicina di scure tele con ritratti di antenati illustri, in particolare, colpisce e dà perfettamente l’idea di epoche antiche e tramontate. Nei ritratti, infatti, scorgiamo omoni con parrucconi ricci e imponenti e con veste da camera o con armatura o ancora con pizzi e colli di moda allora. Ben restaurati, ci osservano con occhio di nuovo chiaro e attento, come a volerci domandare che stiamo facendo a casa loro. La polvere dei secoli è stata loro asportata con pazienza e abilità, quasi come una cataratta eliminata; ora i Signori ci scrutano con quell’espressione tra il contrariato e l’inquisitorio, ma sembrano non tenerci in gran considerazione. Forse ci considerano parte della servitù, abbigliata con fogge bizzarre e dotata di strani amuleti in grado di vibrare ed emettere strano lamento all’arrivo di un dispaccio, pardòn, di un messaggino.
Purtroppo non molto altro è stato ritrovato, né degli arredi né di altro materiale documentario relativo ai Conti Illustrissimi.
Una saletta al piano terra mostra un soffitto decorato con stemmi di famiglie nobili locali e ospita un antico mobile a ripiani a vista, fatto di legno tinto a toni quasi neri e molto lavorato con guglie e riccioli. La saletta accanto, sempre al piano terra, ospita un bel clavicembalo antico e un set di poltroncine su cui potersi accomodare.
Il piano sopra, quello della biblioteca, un tempo dev’esser stato costituito da un bel salone centrale che però, cos’ com’era anche dopo il restauro da parte del Comune di Mortegliano, sarebbe stato affatto funzionale nella sua nuova funzione di casa dei libri. Attualmente gli spazi al primo piano son suddivisi in più stanze, l’ultima delle quali è quella che svela, in alto, la decorazione ad affresco raffigurante un fascione di floridi fiori gialli, visibili solo in pochi tratti delle pareti verticali. Si indovina, lì vicino, la sagoma di un immancabile camino che sapeva dar conforto anche ai brividi dei potenti.
L’ultimo piano è sottotetto: un unico, grande stanzone adibito a sala conferenze o simili e avente per cielo una teoria di antiche travi, anziane capriate, affumicate pianelle di terracotta e chissà quante storie da raccontare. Il cjast è un luogo magico, senza ostacoli al libero circolare: lo sguardo lo abbraccia subito nella sua estensione e l’immaginazione lo riempie di bachi da seta, sgrisiolis, foglie di morâr e tanto lavoro femminile.
La villa dei Conti di Varmo è chiaramente solo l’ombra pallida di ciò che fu: quel che rimane di lei, nell’assenza degli arredi, dei decori, dei libri e dei lampadari antichi è, allora, un valore simbolico, quello del ricordo e della testimonianza ai posteri. Pitòst che viòdila sdrumâsi jù di bessola, è decisamente preferibile osservarla ritta in piedi, intonacata e tinteggiata di fresco, riempita di scaffalature, banconi e computer. Tertium non datur.
Un gioiello antico e suggestivo, tuttavia, lo riusciamo a scorgere: era facile,bastava uscir dalla porta sul retro e andare in quel che rimane del parco.
Lì troneggia un edificio davvero bello: la torre dell’orologio.
Lavori di recupero conservativo sono in atto: speriamo vivamente di continuare a vedere il sasso sul muro senza la copertura di intonaco omologante addosso! Oggi la torre non è ancora agibile, tantomeno l’edificio più basso che la affianca. L’eleganza delle finestre e dei particolari accanto alle scale giustifica l’antica scelta di un Conte erudito che lì andava a studiare, a scrivere, a documentarsi e a dedicarsi alla sua grande passione: l’archeologia. Domani quelle stanze potrebbe tornare ad assumere la funzione di “pensatoio”: forse il respiro dei secoli potrà portare Buon Consiglio a chi cerca risposte e soluzioni ai propri attuali dilemmi, in un dialogo metatemporale.
Basta muri, adesso. Guardando oltre la torre scorgiamo le tracce del parco: il canneto, uno specchio d’acqua artificiale, un tratto di muraglia in rovina. Alte palme incorniciano l’immagine a mo’ di cartolina, di chês che no si ùsin plui. Saluti da Mortegliano, recitavano, ricordate? Ogni paese aveva la sua: due o tre scorci, tipicamente la chiesa, la piazza, la villa se c’era o, in alternativa, il Municipio il Monumento ai Caduti. Ora le cartoline son buone per i mercatini dell’antiquariato, mentre noi conosciamo sempre troppo poco dei nostri paesi.
Saluti da Mortegliano e un inchin al cospetto del Conte, in segno di riverenza. Dopo tutto, se si va indietro nella storia, pare che gli antichi abitanti della villa avessero avuto antenati illustri, discendenti addirittura da un martire cristiano.