Il Giardino del Friuli C’E’ e si trova in un luogo molto speciale. Per accedervi, il punto di partenza è Venzone (UD), da cui a fatica ci si accommiata perché la sua piazza accoglie e ammalia, anzi, inebria di lavanda e di bellezza. Ci ripromettiamo di tornarvi col vestito buono e le scarpette della festa, magari per un pomeriggio rilassante, seduti a uno dei tavolinetti del bar intenti a sorseggiare pigramente un caffè e a leggere il quotidiano. Oggi no: il meteo minaccia catini di acqua sulla testa ma oramai siamo bell’e preparati, attrezzati con scarpone e pantalone da camminata, nonché fido panino in borsa, avviluppato in una perfetta tenuta antipioggia (lui sì, noi meno, a dirla tutta).
Oggi si va in Val Venzonassa, oggi ci si inerpica fino a Casera Confin. Fortuna vuole che qualche buon cuore (grazie Pierluigi!) si prenda la briga di mettere a disposizione la propria auto e carichi su amici e conoscenti e chi, come me, si trova a suo agio al più con le pendenze dei dossi dei rallentatori del traffico…aumentare la salita diventerebbe, per chi vi scrive, un problema di cavalli, cilindri e codardìa! Santa Scugna per oggi non ha dovuto, per sorte propizia, scomodarsi e, anche lei, si è posizionata sul sedile lato passeggero!
Via, allora. Questa benedetta Venzo-stradin-assa ci dice in tutte le salse che le sue amiche preferite hanno tacchi (leggi:un assetto) più alti e le più chic sono addirittura dotate di quattro scarpe motrici. Non importa: ormai si è in ballo e le danze vanno avanti. Percorriamo il tracciato e ci chiediamo se, alla conclusione di questo viaggio nel ventre della balena, troveremo sorprese degne delle nostre fatiche. Come al solito, la realtà si fa beffe della fantasia surclassandola in larga misura. Altrochè sorprese! Alla fine dei chilometri di paziente andare, anche l’auto pare ricarburarsi in un gran respiro di aria buona e profumata: a breve distanza da noi in linea d’aria (la stradina ora si estende in quota, dimentica di ogni pendenza e di ogni gomito, e si sviluppa in una serie di anse, affacciandosi su un panorama ampio e davvero bucolico) si vede Casera Confin, con mucche, cavalli, cavallini, nuvolette, prati, e soprattutto… FIORI, fiori, un mare di fiori! Mai visti così tanti fiori in luglio in montagna, e così vari per colore e specie! La mia gioia quasi puerile è ben accolta e confermata dal dotto gruppo di Botanici con cui ho la fortuna di trovarmi. Apprendo di trovarmi in una sorta di atlante botanico a cielo aperto, dato che Madre Natura ha voluto far dono ai prati (posati sulle pendici di monti quali il Lavara, il Cjadin, il Plauris) di un corredo abbondante di campanule, gerani, ranuncoli, sassifraghe e di chissà quanti altri nomi avvenenti che si potrebbero aggiungere a questo incipit di elenco. Riassumo quanto mi si palesa innanzi con tre termini: bellezza, colore, preziosità delle forme. Gli scienziati annotino, osservino, scrivano con dovizia di particolari quanto il territorio fa conoscere loro; io, da vera profana, posso permettermi il lusso di farmi pervadere da tutto quello splendore senza lasciar troppo spazio al mio raziocinio, bensì dando corda ai sensi, chè accolgano nella maniera più libera possibile tutto quel “Ben di Dio”.
Mentre abbraccio con occhi capienti, cammino, seguendo le dritte delle bandierine biancorosse del CAI. Cammino, osservo e introietto; ad un certo punto lo sguardo si deve essere smarrito in tutto il tripudio di colori e ci vuole il vociare di qualcuno che, dal davanti della nostra fila, invita calorosamente a scrutare quella certa pietra che, di lì a poco, incontriamo lungo il cammino, messa a mo’ di sponda. Eccola! La pietra? Sì, ma sopra, incastonata…gagliarda, solitaria e pelosetta… è lei, la Stella (Pre)alpina! Son felice e orgogliosa di poterla guardare e godere così da vicino. Mentre i Botanici proseguono, animati dalla passione e dal desiderio di scorgere fiori ben più rari (e saranno premiati, di lì a poco), io posso ritenermi soddisfatta: la Steluta conclude simbolicamente un’escursione tal Zardin dal Friûl.