Tranquiiiillllii! L’esclamazione non ha retrogusti veteropolitici e sgorga puramente dalla visita alla città e dalla netta e ferma sensazione, una volta ancorata l’auto nel piazzale antistante il CID (museo), di essermi calata nel capitolo di storia riguardante il Ventennio, occhio del ciclone fra una guerra mondiale e l’altra (sempre che se ne vogliano contare due, di guerre). Chi arriva e mette piede per la prima volta a Torviscosa non può non fare i conti con questa specie di dogana temporal-architettonica che ti inchioda e ti chiede: dichiara?
Dichiarare… cosa? Sarebbe da snocciolare un elenco di conquiste e acquisti fatti in termini di libertà e democrazia postbelliche ma di questi beni non si è mai satolli e si sposta sempre un tantino in là il quantitativo desiderabile per noi “titolari di diritti inalienabili”. Alla faccia – con rispetto! – dei microeconomisti, questo è uno dei casi in cui la curva della domanda svirgola e quella dell’offerta si attorciglia. Risultato: un grafico che assomiglia a un ritratto picassiano! Le libertà e le garanzie che ci tutelano sono il tappeto morbido che coccola ogni nostro passo; da questa posizione così confortevole è naturale e legittimo ambire a forme via via più alte ed evolute di benessere fisico e psichico di ogni singolo e di ogni società in relazione con le altre.
Per alzare lo sguardo oltre il davanzale, dobbiamo attingere al bacino dei fatti storici che arrivano a noi tramite le fonti a disposizione, pur nella tradizione spesso di parte.
Guardar gli edifici è, forse, l’approccio fra i più obiettivi possibili all’uomo; osservar vestigia di ciò che c’era e permane ancora, soffermarsi sui particolari per poi cercare di cogliere il funzionamento del tutto, ricomponendo il puzzle, non è utile tanto a dare giudizi di valore su un’epoca quanto a permetterti di riviverne fisicamente un suo frammento. Tu questi luoghi li puoi benissimo annusare, vedere, palpare e, pure, scattarci un selfy (che, in questa sede, Vi risparmio!). Ogni mattone – il rosso mattone, quasi per ironia cromatica, domina incontrastato la scena – ha filmato e registrato la Storia e ora la trasuda. A volte, in alcune vie, il laterizio è crepato e il tetto sfondato, a silenziosa testimonianza che molte altre pagine sono state scritte, dopo quella; tuttavia, specie laddove i muri si ergono ancora alti e robusti e il cemento non denota stanchezze strutturali, LA CITTA’ TI PARLA. Ti racconta in dettaglio quello che pagine e pagine di scritto articolano e cercano di spiegare. L’autarchia, eccotela! Il superomismo fascista, guardalo! Il controllo totalitario esteso anche alle ore non lavorative, dici? Vuoi far cadere, a tal proposito, lo sguardo proprio di fronte a te, oltre la piazza? C’è la mensa, ci sono anche il teatro e la parte dedicata alla cura e salute del corpo vigoroso, li scorgi? Torviscosa figlia di un disegno preciso, ordinato e iperdisciplinato,di una utopia dai risvolti deleteri e catastrofici, parto sociale allucinato. Torviscosa prodotto di un’epoca dai confini che si crede siano evidenti e dai quali la Memoria dei Popoli vorrebbe sentirsi distante. Torviscosa ora bella e, forse, dimenticata. E’ un museo a cielo aperto, una lezione di storia schietta e pregna di significati, un’occasione per capire un po’ meglio, oggi, noi stessi e le nostre istanze verso il potere. Viva Torviscosa, va protetta e conservata, visitata e ascoltata, portata fuori bene in evidenza perché è un vero e proprio patrimonio culturale. Pensando a Calvino, una città che invisibile non deve esserlo affatto.