Cinque minuti … Che cosa sono in fondo nella vita di un essere umano? Per un uomo d’affari spesso rappresentano il tempo di un caffè bevuto in piedi tra una riunione e l’altra, per uno studente annoiato costituiscono lo stillicidio di secondi che precedono il suono della campanella alla fine delle lezioni, per un ritardatario cronico passano sempre troppo in fretta e, prima che egli possa accorgersene, si ammonticchiano gli uni sugli altri a formare quarti d’ora …
Insomma, il “peso specifico” di cinque minuti non è univoco, né tantomeno universale: ognuno di noi, in base alla propria esperienza e alle circostanze in cui si trova, percepisce quest’intervallo di tempo in modo diverso e conseguentemente gli attribuisce una valenza e un’importanza del tutto personale; tuttavia, non possiamo negare che nella maggioranza dei casi i cinque minuti non li consideriamo neanche, salvo quando “ci girano” (i cinque minuti, appunto!).
La protagonista di questa storia, invece, i cinque minuti li considera eccome, del resto non potrebbe fare altrimenti neppure volendolo; eh già, perché in quel mercoledì di settembre di trentacinque anni fa, furono proprio cinque minuti a decidere chi sarebbe stata (e soprattutto CHE ci sarebbe stata!) Zoe Rondini.
La gravidanza era a termine e le doglie erano state indotte, Zoe sembrava pronta ad uscire, ma poi ecco i fatidici cinque minuti di limbo, che la piccola trascorse in apnea, completamente senza respirare; durante questi trecento lunghissimi secondi, la morte e la vita si sfidarono in un silenzioso duello e per fortuna la vita ebbe la meglio, sia pure con gravi conseguenze per il sistema nervoso centrale di Zoe, irreparabilmente lesionato a causa di quella mancanza d’ossigeno.
Una vita iniziata con cinque minuti di ritardo non è certo una vita qualunque, senza dubbio è molto più difficile della media e per affrontarla occorre possedere una dose extra di grinta e determinazione, oltre all’indispensabile supporto di familiari, amici, fisioterapisti, insegnanti, insomma di tutte quelle figure che per il loro ruolo dovrebbero sostenere un individuo così speciale nel suo percorso di crescita psicofisica, possibilmente evitando di farlo sentire diverso e di escluderlo dalla società. Nel caso di Zoe, grinta e determinazione non sono mai mancate, gli amici ci sono sempre stati, alcuni familiari sono stati (e sono tutt’ora) più presenti di altri – come testimonia il legame molto profondo con la sorella e con i nonni materni, finché erano in vita – mentre alcuni fisioterapisti, ma soprattutto alcuni insegnanti, hanno purtroppo contribuito a rendere ancora più impervio un cammino già abbastanza tortuoso.
Nonostante le mille difficoltà di ogni giorno, Zoe non si è mai arresa: ha imparato a camminare, a parlare, a leggere e a scrivere secondo i suoi tempi, che pur essendo un po’ più dilatati rispetto alla norma (poiché inevitabilmente condizionati da quei fatidici cinque minuti), non le hanno impedito di raggiungere molti traguardi, quali ad esempio il conseguimento di due lauree all’Università “La Sapienza” di Roma (una in Scienze dell’Educazione e della Formazione e l’altra, specialistica, in Editoria e Scrittura) o il coronamento del suo sogno di vita indipendente, realizzatosi all’età di ventuno anni quando ha deciso di staccarsi dalla famiglia e andare a vivere per conto proprio, sia pure con il supporto quotidiano di un assistente.
Mentre si impegna al massimo per ottenere le sue piccole grandi conquiste, Zoe cerca sempre di essere d’esempio e d’aiuto agli altri, in particolare a coloro che vivono situazioni simili alla sua e magari non riescono ad affrontarle con lo spirito giusto; ecco perché dal 2006 cura il portale Piccolo Genio, un sito web che parla di disabilità, ma anche di cultura, cinema, teatro e molti altri argomenti, tutti sviscerati dal punto di vista personale e particolare della redattrice, ovvero di una persona che era partita con cinque minuti di ritardo ma poi ha recuperato alla grande, fino a diventare la ragazza dinamica e intraprendente che è oggi, con i suoi mille interessi e progetti per il futuro.
Il portale riserva ampio spazio alla pubblicizzazione del primo romanzo di Zoe Rondini, “Nata viva”, pubblicato lo scorso anno in seconda edizione dalla Società Editrice Dante Alighieri; il libro è un romanzo autobiografico e di formazione nel quale l’autrice, che scrive usando uno pseudonimo per ogni personaggio della storia (compresa lei, che preferisce sempre comparire come Zoe Rondini piuttosto che con il suo nome di Battesimo), ripercorre passo dopo passo le tappe salienti della sua vita, dalla nascita al periodo universitario. Sebbene l’opera sia stata data alle stampe in tempi recenti (nel 2015, come riferito più sopra), la sua genesi risale addirittura al 1994: è in quell’anno infatti che Zoe, per preservare i ricordi che la legano al secondo marito della madre, scomparso improvvisamente, decide di cimentarsi nella scrittura di un diario, che l’accompagnerà per dodici anni; più tardi, rileggendo quanto scritto, si rende conto che molte persone (soprattutto molti ragazzi, disabili e non) potrebbero riconoscersi e ritrovarsi nelle sue parole, quindi, con l’aiuto del consulente letterario Matteo Frasca, decide di editare i suoi appunti in modo che diventino pubblicabili e fruibili da chiunque voglia seguire questa ragazza nel suo cammino alla ricerca della serenità. Ad impreziosire il libro, che già nella precedente edizione ha vinto diversi premi letterari, ci sono la prefazione della professoressa Serena Veggetti, docente di psicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, e l’appendice costituita dal racconto “L’ultimo acquerello”, scritto a quattro mani con la sorella e ispirato ad uno dei personaggi del romanzo, il nonno Adriano Bompiani.
Spesso, dopo aver letto un’opera di narrativa le cui vicende ci hanno coinvolto e appassionato, ci chiediamo cosa succede in seguito: veramente la storia finisce in contemporanea con il racconto? Nel caso di “Nata viva”, che è un romanzo autobiografico, la risposta è, ovviamente, no! La vita di Zoe non si ferma alla fine degli studi universitari, dopo essere diventata Dottoressa Magistrale la attendono diverse esperienze: i viaggi, l’ingresso nel mondo del lavoro, il conseguimento della patente di guida, la scoperta dell’amore e della sessualità… Un assaggio di tutto questo è rappresentato dal cortometraggio che porta lo stesso titolo del libro ed è stato scritto da Zoe insieme alla regista Lucia Pappalardo; in questo mini-film la protagonista, che recita con un suo alter ego maschile (amico, amante, assistente… chissà?), racconta la sua vita da adulta: ora ha imparato a reagire alle difficoltà positivamente e con il sorriso, cercando di non complicarsi l’esistenza più del necessario; il tono ironico che si può cogliere leggendo “Nata viva” si ritrova anche nel cortometraggio, sebbene qui si trasformi in un leggero sarcasmo, atteggiamento forse più tipico di chi ormai ha superato la trentina.
Il successo riscosso finora dal cortometraggio, che potete vedere direttamente in questa pagina,
va di pari passo con quello del libro, come testimonia l’importante riconoscimento che è stato attribuito all’opera lo scorso giugno a Capodarco di Fermo, nelle Marche; qui, nell’ambito della manifestazione “Capodarco L’altro Festival”, il cortometraggio “Nata viva” è risultato vincitore del premio “L’anello debole”, giunto quest’anno alla decima edizione. Come riferito da Andrea Pellizzari, direttore artistico del premio e presentatore della serata finale, la vittoria è stata decretata dalla giuria popolare, che ha stravolto il risultato modificando il voto della giuria tecnica; a mio parere, questa è la miglior conferma possibile del fatto che la gente comune, i ragazzi di ieri e di oggi, possono identificarsi facilmente in Zoe Rondini e nella sua battaglia quotidiana per conquistare un posto nel mondo.
Poiché siamo esseri imperfetti, ognuno di noi racchiude in sé fragilità e debolezze con le quali deve imparare a convivere per riuscire a trovare il proprio equilibrio psicofisico; se per il 15% della popolazione mondiale, incluse Zoe Rondini e la sottoscritta, i limiti da accettare sono quelli imposti dalla disabilità (come riportato dallo “World Report on Disability”, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2011 e scaricabile qui in lingua inglese), per il restante 85% si tratta di limiti che hanno altri nomi e forse sono meno riconoscibili, ma sono pur sempre limiti.
Per quanto possa sembrare strano nell’era della globalizzazione, al giorno d’oggi anche essere immigrati può purtroppo costituire un limite, un handicap che preclude un inserimento “alla pari” nel tessuto sociale. Questo è uno dei motivi per cui Zoe Rondini, che ha sperimentato sulla propria pelle cosa significa essere discriminati a causa di una condizione nella quale siamo costretti a vivere nostro malgrado, ha scelto di mettere la sua passione per la scrittura al servizio di questa particolare categoria di persone, che potremmo definire “nuovi cittadini”; tale opportunità le è stata offerta dalla testata giornalistica online “PiuCulture”, che dal 2010 dà voce agli stranieri che vivono, studiano e lavorano a Roma. Lavorando per questo giornale, Zoe mette senz’altro a frutto la sua laurea specialistica in Editoria e Scrittura, avendo contemporaneamente la possibilità di imparare cose nuove sul mondo del web e del giornalismo; ciò che più conta però, è che i suoi colleghi la trattano alla pari, affidandole incarichi e responsabilità nonché imponendole di rispettare scadenze: questo è sicuramente il modo migliore per ricordare a ogni persona, non soltanto a Zoe Rondini, che è NATA VIVA e come tale deve comportarsi!