Dopo l’enorme successo dello scorso anno, fra consensi e aspre critiche, “13 reasons why” è finalmente disponibile su Netflix con una nuova e altrettanto sconvolgente stagione.
In diverse interviste i creatori della serie hanno affermato che la sceneggiatura voleva essere il più vicino possibile alla realtà, e questo significava non risparmiare le scene cruente e l’ingiustizia dilagante. Per avere un impatto emotivo sul pubblico, per fare in modo che se ne parlasse, era necessario non abbellire la verità. Quindi gli atti di violenza, sessuale e fisica, non dovevano restare solo accennati; l’uso di droghe e le loro conseguenze andavano mostrati e l’aumento dei suicidi soprattutto fra gli adolescenti era qualcosa di cui si doveva parlare.
Dopo aver visto la prima stagione numerosi adolescenti infatti hanno trovato il coraggio di denunciare le violenze che avevano subito, altri hanno deciso di farsi aiutare, altri ancora hanno semplicemente ringraziato la produzione di aver portato alla luce dei problemi così frequenti e tangibili.
Nella seconda stagione, attraverso un intreccio complesso e un ritmo sempre più sostenuto, “13 reasons why” crea di nuovo una sensazione di disagio incontenibile. Il filo conduttore della storia è il processo che vede i genitori di Hannah accusare la scuola di quello che è successo, portando con le testimonianze degli studenti coinvolti retroscena agghiaccianti e nuove verità. Ma la trama è secondaria, il lato tecnico anche, sono i delicati temi che affronta ad essere centrali.
È questo che conta, il lato umano della serie, la sua importanza sociale. Perchè si, certe situazioni sono estreme e si, sono troppe tutte insieme. Ma prese a una a una esistono, una Hannah esiste, un Justin, un Bryce. Sono tutti credibili, tutti. E chiunque può trovare una sensazione in cui riconoscersi, ricordare uno sguardo, un insulto, un trauma. E se grazie a una serie tv anche un solo adolescente, uno solo, ha trovato la forza di reagire poco importa delle critiche. Andava fatta.
“È necessario che ognuno scenda una volta nel suo inferno”
(Cesare Pavese, “Dialoghi con Leucò”)