“I sogni son desideri chiusi in fondo al cuor…” così cantava Smemorina, la fata madrina di Cenerentola. E aveva ragione: ognuno di noi cova nel proprio intimo sogni, speranze e desideri, anzi, spesso ne abbiamo talmente tanti che per realizzarli tutti ci servirebbe un’altra vita.
Chissà quante volte questo pensiero aveva attraversato la mente di Daniele Furlan, un imprenditore veneto di mezza età che da tempo sognava di ampliare la vigna di famiglia trasformandola in qualcosa di diverso; il sogno c’era, ma rimaneva chiuso in un cassetto in fondo al cuore, perché il tempo non bastava mai e le priorità erano altre: un’azienda (piccola ma ben avviata) da mandare avanti, i viaggi di lavoro in Italia e all’estero, un figlio adolescente da crescere, tante donne da corteggiare e soddisfare… E così si rimandava tutto al tempo della pensione, o magari proprio ad un’altra vita.
In quella mattina del 29 ottobre 2001, mentre era fermo in coda sulla tangenziale di Mestre e si apprestava a vivere un lunedì come tanti, Daniele non poteva ancora saperlo ma l’altra vita stava già per travolgerlo; nel giro di pochi secondi un TIR sopraggiunto da dietro gli sarebbe piombato addosso e l’avrebbe spazzato via come fosse un granello di polvere, per poi proseguire la sua folle corsa centrando altre quindici autovetture. L’ultimo ricordo che Daniele ha della sua prima vita, iniziata il 18 novembre 1963, è il suo corpo disteso sull’asfalto, il suo corpo che cerca di rialzarsi ma non ci riesce perché pervaso da un formicolio sempre più esteso. Poi, dopo dieci giorni trascorsi a lottare tra la vita e la morte e altri dieci nel limbo del coma farmacologico, attraverso un citofono arrivano gli auguri degli amici e con essi la seconda vita: è il 18 novembre 2001.
La seconda vita è quella di un tetraplegico che ha subìto una lesione, sia pur incompleta, della seconda e della terza vertebra cervicale, con relativa fuoriuscita midollare; ciò significa che oggi Daniele è paralizzato dal collo in giù e riesce a muovere autonomamente solo la testa, anche se tuttavia non ha perso la sensibilità nel resto del corpo.
Certamente non si tratta di una vita facile da accettare e da affrontare, né per Daniele né per i suoi familiari e amici, eppure è comunque una vita e come tale va vissuta; per questa ragione, nell’anno e mezzo successivo all’incidente, mentre Daniele passa da un ospedale all’altro per la riabilitazione, i genitori e la sorella si adoperano perché al suo ritorno a Ponte di Piave (il paese in provincia di Treviso dove è sempre vissuto) lui trovi ad attenderlo un ambiente confortevole e funzionale, che possa ridargli almeno una minima parte dell’autonomia perduta e che gli permetta di vivere una quotidianità accettabile, insomma un ambiente che per lui sia una casa e non una prigione. All’abitazione di famiglia viene aggiunta una nuova ala, collegata alla struttura già esistente, nella quale trova spazio l’appartamento di Daniele, dotato di un sistema di domotica che lui riesce a controllare direttamente dalla sua carrozzina elettrica e che tutt’ora continua ad aggiornare e migliorare con ausili sempre più adatti alle sue esigenze.
Una volta a casa, mentre prende confidenza con il suo nuovo presente da disabile, Daniele capisce che non potrà più lavorare come prima, quindi procede alla graduale dismissione dell’azienda di macchine per l’irrigazione che aveva a suo tempo rilevato e che ora conta circa una ventina di dipendenti; sicuramente il distacco dalla realtà lavorativa alla quale era abituato gli pesa molto, ma forse adesso è giunto il momento di credere nei propri sogni e di provare a realizzarli, per scoprire che nonostante tutto si è ancora in grado di farlo. Ecco allora che quel famoso cassetto in fondo al cuore viene finalmente aperto, l’antica vigna di famiglia viene ampliata con l’acquisto di un terreno adiacente e nasce il “Podere al gelso”, un’azienda agricola dove a tutt’oggi si produce dell’ottimo vino, “il vino di Daniele” appunto.
Di questo sogno realizzato, che in qualche modo gli garantisce la continuità tra la prima e la seconda vita, Daniele racconta nel romanzo “Il mio podere” (Albatros Il Filo, 2009): in quella che è la sua prima opera letteraria, egli ripercorre le vicende salienti delle sue due vite narrandole a capitoli alternati (Prima Vita – Seconda Vita – Prima Vita – Seconda Vita…) e facendo così intuire al lettore come la persona che ha scritto il libro risulti dalla loro somma; il romanzo è anche un modo per mantenere nitidi i ricordi (soprattutto quelli legati alla prima vita, che ormai tende ad allontanarsi ogni giorno di più), oltre che uno strumento efficace per parlare di disabilità e per aiutare tutti coloro che si trovano in condizioni simili a quelle di Daniele e necessitano di sostegno psicologico ed economico per migliorare la propria qualità di vita. Infatti, tutti i diritti d’autore che spetterebbero a Daniele sulla vendita del libro, acquistabile anche online in formato cartaceo o pdf, vengono devoluti a “La Colonna” – Associazione Lesioni Spinali ONLUS (www.lesionispinali.org) e contribuiscono a finanziare la ricerca sulle lesioni spinali o l’acquisto di ausili tecnologici per i disabili che ne avrebbero bisogno ma non possono permetterseli.
La stesura e la pubblicazione de “Il mio podere” rappresentano probabilmente la fase finale del percorso compiuto dall’autore per giungere all’accettazione di se stesso e per riuscire a considerarsi un “disabile desider-abile”, cioè un disabile che (come qualsiasi altro essere umano) può avere ed esprimere i propri desideri, ma può anche essere desiderato, a prescindere dalla sua condizione fisica.
A seguito di alcuni incontri di presentazione del libro nella sua terra d’origine, Daniele amplia la propria cerchia di amici e conosce anche diverse donne che hanno il merito di infrangere, ciascuna a modo suo, il blocco psicologico che dopo l’incidente, per otto anni circa, gli ha impedito di rapportarsi serenamente con l’altro sesso, facendogli escludere a priori la possibilità di una vita sessuale appagante.
Le donne che, più o meno consapevolmente, contribuiscono allo “svezzamento” di Daniele da questo punto di vista sono in particolare tre, come egli stesso confida nel suo secondo libro “Disabilamando” (Ibiskos Editrice Risolo, 2014). La prima è una vecchia conoscenza, incontrata per lavoro nella vita precedente alla mielolesione, persa di vista per alcuni anni e poi ritrovata per caso nel mondo virtuale di Facebook; grazie ad uno scambio di messaggi sempre più intenso, Daniele scopre di provare emozioni e pulsioni che credeva ormai appartenere ad un passato lontano, ma soprattutto si rende conto di come le parole (quelle giuste al momento giusto) siano un ottimo strumento per dare e ricevere piacere. Ad un certo punto però, quando a Daniele le parole non bastano più, quando è ora di passare ai fatti e di entrare in contatto diretto con l’oggetto del desiderio (peraltro proibito in quanto già appannaggio di un altro uomo), questo non si mostra più disponibile e batte in ritirata…
Dopo qualche tempo è la volta di Stella, un’altra vecchia conoscenza che si rifà viva dopo la lettura de “Il mio podere” e regala al suo autore la gioia di un rapporto sessuale completo; tutto sembra andare per il meglio ma poi, di fronte alla prospettiva di una convivenza (e quindi al rischio di fondere insieme le figure dell’amante e della badante), la sicurezza del “disabile desider-abile” vacilla…
Infine l’ultimo incontro, grazie al quale probabilmente il nostro “Latin Lover” si convince una volta per tutte che la sua condizione fisica non ha nulla a che vedere con il suo sex appeal, rimasto fortunatamente intatto: infatti, la sua tetraplegia, per quanto gravemente invalidante, non lo è fino al punto da impedire ad una donna di sentirsi attratta da lui; certo, è bene precisare che la donna in questione non è una donna qualunque: al contrario, è particolarmente avvezza a rapportarsi con soggetti diversamente abili, non tanto perché glielo impone la sua professione di fisioterapista, quanto piuttosto perché li trova veramente desiderabili…
A questo punto il “risveglio” di Daniele è completo ed egli ha scoperto un’altra delle possibilità riservategli dalla sua seconda vita che, pur costringendolo a numerose privazioni, di tanto in tanto riesce ancora a stupirlo con dei regali inaspettati, per i quali merita di essere vissuta nella sua interezza.
È proprio questo il messaggio che “Disabilamando” (acquistabile in libreria o tramite il sito della ONLUS “La Colonna”, esattamente come il romanzo precedente) si propone di trasmettere a chiunque abbia voglia di leggerlo, in particolare ai disabili che non si sentono pronti ad un confronto con l’altro sesso perché temono di “sfigurare” e di non essere all’altezza: quali che siano le nostre condizioni psicofisiche, finché ci è concesso di rimanere in questo mondo dobbiamo vivere, non sopravvivere!