Più o meno due anni fa, navigando in rete a caccia di storie interessanti da conoscere e raccontare poi su queste pagine, mi sono imbattuta nel “Diario di un padre fortunato”, un blog nel quale un papà con una vita un po’ più difficile e una penna un po’ più facile rispetto a quelle capitate in sorte ad altri padri raccontava sé stesso e la sua famiglia. Il blog mi ha incuriosita sin dalle prime righe, perché l’ospite fisso di quei post era un drago; così, desiderosa di scoprire cosa mai potessero avere in comune un drago e un padre che si ritiene fortunato, ho deciso di indagare più a fondo.
Leggendo il blog non ci ho impiegato molto a capire che entrambi sono indissolubilmente legati a un bimbo di nome Tommaso (Tommi per gli amici) e convivono con lui sin dalla sua nascita, seppur per ragioni diverse, oserei dire addirittura opposte; già, perché il drago simboleggia la disabilità e la condizione degenerativa che il bambino si porta appresso da sempre, mentre il padre fortunato è proprio il papà di Tommaso, al secolo Francesco Cannadoro. Semplificando molto la questione, si potrebbe dire che in sostanza il drago rappresenta il male nella vita di Tommi, mentre Francesco è il bene; insieme a mamma Valentina è il suo primo alleato nella battaglia contro il drago, una battaglia che purtroppo prima o poi perderanno, ma che stanno combattendo con onore.
Il “Diario di un padre fortunato” nasce nel 2016 (quando Tommaso ha due anni) e inizialmente vuole essere una richiesta d’aiuto e di confronto con chiunque si trovi a vivere una situazione simile a quella della famiglia Cannadoro; in breve tempo però, la leggerezza, l’ironia e l’amore che trasudano dalle pagine del blog conquistano il popolo degli Internauti e fanno sì che la quotidianità di Francesco, Valentina e Tommi diventi fonte di ispirazione per molti e che l’atteggiamento positivo con il quale essi affrontano la disabilità e la vita dia a tante persone la forza necessaria per sconfiggere i propri draghi, di qualunque natura siano.
Visto il numero crescente di “seguaci”, a un certo punto Francesco decide di continuare il suo diario sui social network, usando soprattutto i suoi profili Facebook e Instagram, ma anche aprendo un canale YouTube, per cercare di raggiungere quante più persone possibile e trasmettere loro quello che ha imparato da suo figlio Tommi dopo anni di lezioni giornaliere, ovvero che la disabilità “fa schifo. Senza appello. Ma la tua vita, nonostante la disabilità, fa schifo solo nella misura in cui tu glielo consenti. E noi abbiamo deciso di non consentirglielo.” (“Quanto mi servivi”, Ultra Edizioni, p. 8).
Nell’intento di veicolare un messaggio positivo e importante come questo in modo diretto, semplice e comprensibile a tutti, Francesco Cannadoro riscopre la sua antica passione per la scrittura, che lo ha accompagnato da sempre, aiutandolo a superare parecchi momenti difficili e assumendo per lui una funzione catartica; così sceglie di diventare content creator e autore, con il vantaggio di poter lavorare da casa e quindi essere più presente per la sua famiglia.
“#Cuciti al cuore. Diario di un padre fortunato” è il suo primo libro e viene pubblicato nell’aprile 2019 per Ultra Edizioni; qui egli racconta la disabilità del proprio figlio, ma introduce anche il suo passato difficile (poi descritto approfonditamente nel suo secondo libro), da ragazzo disadattato che cresce praticamente senza genitori e che nell’adolescenza entra ed esce dalle comunità-alloggio per minori, conoscendo purtroppo anche la strada. Racconta inoltre l’incontro con Valentina, una donna che probabilmente lui desiderava ancora prima di sapere che esistesse, l’amore che prova per lei e l’orgoglio per essere riuscito a creare insieme a lei la famiglia che gli era sempre mancata; la narrazione dei fatti termina quando ormai manca pochissimo al grande giorno, quel 4 maggio 2019 in cui Francesco e Tommi finalmente sposeranno Valentina, ma in realtà la conclusione del libro è affidata a una toccante “Lettera a mio figlio” (“Cuciti al cuore”, pp. 135 – 141), nella quale l’autore ringrazia il figlio per essere una sfida continua e per avergli “dato una sveglia pazzesca”, una motivazione per provare a cambiare e a diventare un uomo migliore, ma riconosce anche di non riuscire a comprendere appieno la felicità che Tommaso è in grado di provare e trasmettere nonostante la sua grave disabilità.
Una “Lettera a mio figlio” costituisce anche il penultimo capitolo del secondo libro di Francesco Cannadoro, intitolato “Quanto mi servivi” e pubblicato a luglio 2021 dalla stessa casa editrice del precedente; anche qui (precisamente da p. 181 a p. 185) Francesco esprime a Tommaso la gratitudine che prova ad averlo come figlio, consapevole di essere diventato l’uomo e il padre che è oggi soltanto grazie a lui, che in qualche modo riesce sempre a riportarlo “a casa”, facendogli da guida, assicurandosi che non perda la rotta e sostituendosi simbolicamente al padre che lui non ha mai avuto e vissuto davvero.
Proprio a questo padre è dedicata la lettera che conclude il libro (pp. 186 – 188), nella quale l’autore spiega come secondo lui anche suo padre possa ritenersi fortunato ad avere un figlio che nonostante la mancanza di una guida e di un modello positivo da seguire, sia riuscito a sopravvivere, a riscattarsi e a creare una famiglia tutta sua, come quella che avrebbe sempre voluto. In queste pagine egli non nega di amare tantissimo il padre, tuttavia ammette anche di essersi ormai abituato alla sua assenza, di sentirsi completo e amato anche senza di lui, che un tempo gli serviva (o gli sarebbe servito), ma che ora non gli serve più.
Leggendo entrambi i libri si nota come il racconto della disabilità di Tommi (se non addirittura la disabilità stessa) assuma quasi una funzione veicolare, diventando un mezzo per comprendere e far comprendere la genitorialità e i valori sui quali essa dovrebbe fondarsi (amore, dedizione, rispetto reciproco, complicità, solo per citarne alcuni); il protagonista è sempre l’autore, che analizza la sua vita passata e presente (con qualche strizzatina d’occhio al futuro) attraverso la lente d’ingrandimento rappresentata dal drago contro il quale da quasi otto anni e mezzo deve lottare insieme a suo figlio.
Per un cambio di prospettiva occorre invece leggere “Io e il drago. Storia di Tommi raccontata da Tommi”, che è l’ultima fatica letteraria di Francesco Cannadoro, pubblicata da De Agostini lo scorso aprile; in questo libro Tommi è il protagonista assoluto, il suo papà gli presta soltanto la voce, cercando di calarsi nei suoi panni e di raccontare la sua storia come forse lui la racconterebbe ai suoi coetanei, se solo potesse parlare. Si tratta quindi di un’opera a misura di bambino (consigliata dai 9 anni in su), con una veste grafica diversa (caratteri più grandi e interlinea maggiore) e un linguaggio più semplice, adatto ai piccoli lettori. Per esempio, per spiegare la craniostenosi, che è stata la prima ipotesi di diagnosi per Tommi, il piccolo narratore chiede: “Te lo immagini il drago, in piedi dietro di me, che mi tiene la testa con le zampe e stringe forte per non farla crescere?” (p. 10); o ancora, a proposito della condizione degenerativa dice: “In pratica, io cercavo di costruire la mia torre fatta di mattoncini Lego, e il drago me la smontava.” (p. 61); il catetere viene definito come un “piccolo tubicino” (p.101) e la PEG (acronimo inglese di Percutaneous Endoscopic Gastrostomy), ovvero la gastrostomia endoscopica percutanea, è “una valvolina per far arrivare il cibo direttamente nello stomaco” (p. 131).
Nonostante in questo libro i concetti vengano espressi con parole più semplici, il linguaggio sia un po’ meno colorito e il tono sia più dolce rispetto a quello dei due libri precedenti, la disabilità non viene mai edulcorata, ma sempre presentata in modo molto realistico; ad eccezione del drago sputafuoco, non vi sono personaggi fiabeschi, quali supereroi, guerrieri o bambini speciali, ma soltanto una mamma, un papà e un bambino che si amano profondamente e ogni giorno traggono forza da quest’amore per sostenersi a vicenda e combattere insieme un nemico comune, che è appunto il drago, ovvero la malattia senza nome di Tommi.
Dopo aver letto tutti e tre i libri, veramente molto scorrevoli, ritengo che lo stile di Francesco Cannadoro sia quello più adatto per raccontare la disabilità, senza tabù né pietismi, con la giusta dose di empatia (forse in questo è “agevolato” dal fatto di essere il padre di Tommi, magari se non vivesse ogni giorno a stretto contatto con la disabilità non riuscirebbe a essere così empatico, o magari sì, chissà…) e con quel pizzico di ironia che non guasta mai, utile ad alleggerire una situazione che è già di per sé troppo seria.
Tra le molte domande che gli vengono poste sui social, una abbastanza ricorrente riguarda le sue aspettative per il futuro; Francesco risponde sempre che la condizione degenerativa di suo figlio obbliga a vivere concentrandosi sul “qui e ora” e cercando di goderlo appieno, fare programmi o progetti per il futuro non è possibile né sensato, visto che la situazione potrebbe cambiare nel giro di un minuto. Eppure, chi come me lo segue da un po’ sa che effettivamente qualche progetto c’è: mentre continuano le presentazioni dei libri, gli incontri con l’autore che la casa editrice De Agostini promuove nelle scuole per far conoscere agli alunni “Io e il drago”, e l’attività sui social, Francesco si sta dedicando anche alla scrittura del suo primo romanzo originale, che sarà autoprodotto e uscirà in primavera; ovviamente non sappiamo dove lo condurrà questa nuova avventura, possiamo solo anticipare che non sarà un romanzo autobiografico, ma la disabilità e la genitorialità saranno comunque trattate.
È superfluo dire che continuerà anche la battaglia contro il drago, perché la famiglia Cannadoro non ha alcuna intenzione di arrendersi; quasi sicuramente alla fine vincerà lui, ma sarà una lotta all’ultimo sangue, nella quale Francesco, Valentina e Tommaso rimarranno sempre “uno per tutti, tutti per uno” e andranno avanti a testa alta, senza mai smettere di guardarlo in faccia e di sfidarlo a colpi di sorrisi!